I primi ruggiti del Leone
I passaggi sul tappeto rosso di George Clooney e Madonna hanno aperto la rassegna tra l'entusiasmo dei fan. Il cinema è anche questo...
Si sta riempiendo di gente e sta lievitando il clima del festival veneziano. Naturalmente scoppiano gli entusiasmi, non solo adolescenziali, per le star, con ore di attesa per carpire il sorriso dei due regnanti effettivi della rassegna, almeno fino ad ora: George Clooney e ieri, Madonna. Il re Giorgio ha dispensato ai fan e ai giornalisti che lo assediavano sorrisi pieni, conditi con qualche saluto in italiano, con la classe della vera star che si concede ai suoi fan adoranti. Lei, Madonna, che recita ormai la parte della icona giunonica, si è presentata al pubblico con una veste candida punteggiata di petali rossi e strascico come una regina. Certo, le due star hollywoodiane visitano le loro “province” con simpatica degnazione. Dei costi, cioè di quanti milioni ci siano costati con le loro regali esigenze, non se ne parla…Ma il cinema è anche questo mix di glamour, spettacolo e sogno ad occhi aperti e realizzati (per alcuni).
Veniamo al cinema, perché questa è una mostra d’arte cinematografica che, come sempre, comprende prodotti belli, meno belli e forse impossibili. Tornando per un attimo a Madonna, il suo W.E., presentato ieri, piacerà certo alle signore che affollano nei pomeriggi i cinema per rivivere sogni. Racconta infatti il celebre amore di Edoardo d’Inghilterra per Wallis Simpson, alternandolo alla vicenda di una giovane donna d’oggi, vessata dal marito, e innamorata della storia regale. Film patinato, recitato accademicamente, insomma, una bella illustrazione, ma senza alcun colpo d’ala, nonostante applausi ben orchestrati più alla diva regista che alla sua opera, in verità.
Gran colpo d’ala invece per la commedia di umor nero Carnage di Roman Polanski. Riuscire a catturare il silenzio per oltre un’ora e mezzo con quattro personaggi nella stessa stanza a conversare tra loro è già un merito ed una operazione che solo un grande regista sa fare. Un quartetto strepitoso di attori ha interpretato due coppie che si trovano a voler risolvere “civilmente” la lite fra i rispettivi ragazzi. L’inizio è civile, come si conviene tra persone per bene. Ma poi la tensione cresce e inevitabilmente scivola qualche parola di troppo: ognuno viene fuori per quello che è, sia come coppia che come singoli. Ed il gioco al massacro psicologico reciproco sale, esplodendo in battute così vere da suscitare un riso amaro. Polanski smaschera l’ipocrisia e la doppiezza dei nostri cosiddetti rapporti civili, anche all’interno della convivenza più naturale come è la famiglia. È la guerra dei nervi a far saltare le difese, sino all’imprevedibile finale (che non sveliamo) dove ormai tutto è stato detto, per cui forse adesso si può iniziare a parlare seriamente o meno: dipende da ciascuno. Apologo morale duro ed incisivo, il film non lascia scampo. Il pubblico ride, non perché è divertito, ma perché è colpito al cuore.
Delude invece A dangerous Method di David Cronenberg, sul rapporto a tre tra Jung, Freud e una giovane paziente poi diventata psicologa. Recitato accademicamente, didascalico all’eccesso, chiaramente favorevole a Jung, il racconto illustra ma non prende. Sembra fatto apposta per accontentare il pubblico veneziano, come fosse un’opera su commissione. Ovvio che fotografia, commento musicale (Wagner, certamente), costumi sono perfetti. Forse, troppo.
Come non piace Un été brulant di Philippe Garrel, storia di una amicizia tra due uomini e delle loro rispettive storie amorose. Molto pensato e parlato, come piace ai francesi, è più una esercitazione di stile che un racconto incalzante. Senza dire che la presenza giunonica di Monica Bellucci accanto al giovane introverso Louis Garrel sconcerta. La nostra diva, spiace dirlo, fatica a recitare se non col corpo, che presenta all’inizio in un nudo canoviano, per la curiosità di certi giornali. Ma il film rimane nelle secche di un intellettualismo nichilistico di maniera sulla inutilità e l’impossibilità degli affetti.
Sul fronte italiano, pareri discordi su Ruggine di Daniele Gaglianone, oggi in uscita nelle sale. Una storia di pedofilia, tra gli immigrati meridionali in una città del nord, dove un medico orco (un gigionesco Filippo Timi, ormai specializzato in ruoli cavernosi) tenta le bambine. Ma il gruppo dei ragazzini che giocano fra i detriti, con tanto di capobanda, farà giustizia. Il regista si avvale di attori di grido (Valeria Solarino, Timi, Valerio Mastandrea, Anita Kravos, che è la migliore, e Stefano Accorsi), ma la storia è confusa, la sceneggiatura sfilacciata e la recitazione retorica. Certo, per affrontare per l’ennesima volta un tema così delicato, ci sarebbe voluta la sobrietà: in tutto, non un voler dire tutto. Perciò il film risulta troppo “caricato”. Meno male che il regista ha avuto l’accortezza di non mostrare scene di pedofilia.
Ora siamo in attesa di altri divi, fra cui Al Pacino. Vedremo…