«I poveri devono uscire vivi da questa crisi»

Il Sud dell'Italia è sempre più povero, le industrie stanno sparendo e la disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, è altissima. Cosa fare? 
Svimez - Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno

È stato presentato a Roma nei giorni scorsi il Rapporto annuale 2012 dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. Quella che viene fuori è l’istantanea di una crisi del Sud del Paese che, a parere di Adriano Giannola, presidente Svimez, è davvero preoccupante e sta diventando strutturale. Le cifre più significative riguardano il lavoro e la crescita. Quattro indicatori drammatici: la disoccupazione (salita al 25 per cento), e il crollo, rispettivamente, del Pil (-3,5 per cento), dei consumi (-3,8 per cento) e degli investimenti (-13,5 per cento).
I dati assoluti, lo si sa, non dicono nulla o quasi. Acquistano significato solo se posti in relazione a quelli delle altre aree del Paese, anch’esse, certo, colpite dalla crisi, ma con ben diversa incidenza.
 
Qualche raffronto sarà utile per capire a quante velocità corra l’Italia. La Valle d’Aosta è stata, nel 2011, la regione più ricca (con 32.602 euro di Pil pro capite). Al secondo posto la Lombardia (32.538), al terzo il Trentino Alto Adige (32.288), al quarto l’Emilia Romagna (31.524 euro), al quinto il Lazio (30.884 euro). In sequenza, nell’alta classifica, tutte le rimanenti Regioni del Centro-Nord. Nel fondo classifica c’è tutto il Mezzogiorno. La regione che sta meglio è l’Abruzzo (21.980 euro), seguita dalla Sardegna (20.080), dal Molise (19.748) e dalla Basilicata (18.639). La Sicilia (17.671) precede "soltanto" la Puglia (17.102 euro), la Calabria (16.603 euro) e la Campania (16.448) che, lo scorso anno, è stata la più povera d’Italia.
 
Altri dati comparati Secondo Svimez, le politiche di rigore (contenute nelle manovre del governo del 2010-2011) hanno colpito quattro volte di più nel Sud che altrove: i tagli al Nord hanno pesato sul Pil per lo 0,8 per cento e al Sud per il 2,1 per cento, a causa della caduta degli investimenti che, su quel 2,1 per cento, ha inciso per l’1,7 per cento.

Il rapporto Svimez rileva ancora che il Sud, sempre in termini di Pil pro capite, è passato nell’ultimo decennio dal 56,1 per cento al 57,7 per cento rispetto al valore del Centro-Nord, recuperando appena un punto e mezzo percentuale. Proseguendo con questo trend, per colmare il gap, ci vorranno quattrocento anni (avete letto bene: quattro secoli!).
E, guardando in prospettiva, la recessione continuerà al Sud nel 2013 (-0,2 per cento) mentre l'Italia crescerà dello 0,1 per cento e il Centro-Nord dello 0,3 per cento. Quando Monti afferma che nel 2013 il Paese comincerà ad intravvedere la luce d’uscita dal tunnel della recessione, forse ha trascurato di specificare che questa rosea previsione riguarda solo i vagoni di testa del lungo treno della nazione.
 
I poveri Non sono un freddo dato statistico. Sono persone; sono famiglie; sono uomini, donne, giovani, bambini, anziani; sono cittadini italiani, con bisogni primari da soddisfare. Lo reclama l’equità sociale, in nome della Costituzione repubblicana. «I poveri devono uscire vivi da questa crisi»: per la prima volta, da tempo immemorabile, durante un convegno pubblico (quello della presentazione a Roma del rapporto Svimez) è risuonata la parola "poveri", pronunciata dal ministro Fabrizio Barca e riferita a persone in carne ed ossa. E nel suo messaggio indirizzato al convegno, gli ha fatto eco il presidente Giorgio Napolitano, sottolineando l'urgenza di una ripresa, obiettivo da perseguire «nel quadro dell'obbligato risanamento dei conti pubblici» con una politica di rigore «che deve coinvolgere tutti i ceti sociali, a cominciare dai più abbienti».

Nel rapporto Svimez, per categorizzare chi siano questi poveri nel Mezzogiorno del Paese sono risuonate metafore forti, assai più che semplici slogan. "Segregazione occupazionale": disoccupazione reale al 25,6 per cento (più del doppio rispetto a quello del Centro-Nord, che è al 10 per cento). Giovani e donne (anche laureati/e) che tornano ad emigrare (in dieci anni: 1 milione e 350mila, con le perdite più forti a Napoli, Palermo, Bari).
"Desertificazione industriale": in quattro anni l’industria ha perso nel Sud 147 mila unità, pari al 15,5 per cento, il triplo del Centro-Nord. "Deprivazioni sociali": in dieci anni i consumi sono calati del 4,9 per cento (dell’8,7 per cento quelli per il cibo).
 
Che fare È dunque alla luce di questi dati e di quelli relativi al non confortante uso dei fondi europei e anche degli scandali sul disinvolto uso delle risorse pubbliche che investono le amministrazioni pubbliche, che appare ineludibile una assunzione di responsabilità collettiva per una inversione di rotta. In Sicilia, la Cisl ha messo in atto una provocazione, inviando copia del rapporto Svimez ai candidati a governatore alle prossime elezioni regionali del 28 ottobre, perché «mettano al centro delle loro strategie alleanze ed eventuali future azioni di governo, la crisi dell'economia che ipoteca il futuro di Sicilia e siciliani».
 
Il Paese non crescerà se non insieme Nel documento dell’Episcopato italiano “Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno” del febbraio 2010, si faceva rilevare che la ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale ci ricorda che la solidarietà, unita alla sussidiarietà, è una grande ricchezza per tutti gli italiani, oltre che un beneficio e un valore per l’intera Europa. E che: «Il Paese non crescerà, se non insieme». Anche oggi riteniamo indispensabile che l’intera nazione conservi e accresca ciò che ha costruito nel tempo. Il bene comune, infatti, è molto più della somma del bene delle singole parti.

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