I più vicini, i più remoti
Creati per esser amore: per portare questa sostanza. Tutto qui. Il resto è perdita di tempo. E perdita di eternità.
Il mondo d’oggi è dominato dalla paura e dall’egoismo, coppia mortuaria, da cui è respinta la fraternità. L’uomo che ci urta in tram; che ci passa sprezzante o distratto o enigmatico accanto, sul marciapiede; l’uomo che sfruttiamo nell’officina e ai campi o al banco della giustizia e a quello della moneta, non lo vediamo come fratello. Lo vediamo come un concorrente, un disturbatore, un servo: o un estraneo o un nemico. L’uomo che respingiamo, perché di altra classe o razza o fede, non ci appare figlio di nostro Padre: al più ci appare un figlio illegittimo, degno di commiserazione. L’uomo, su cui spariamo in guerra o che su noi spara, non ci appare un fratello: ci risulta un ordigno omicida. La creatura, che traffichiamo per la nostra lussuria, non vive come nostra sorella: è carne in vendita, che val meno del denaro con cui si paga. Vista così, la società somiglia a un lebbrosario, o un cellulare.
Ogni divisione, ogni discordia è una barriera al passaggio dell’amore: e l’amore è Dio, e Dio è la vita. E se non passa la vita, ristagna la morte.
E dunque per esser figli di Dio, che è nei cieli, bisogna amare i fratelli, che sono in terra; e se Dio è amore, esser suoi figli vuol dire essere figli d’amore. Creati per esser amore: per portare questa sostanza. Tutto qui. Il resto è perdita di tempo. E perdita di eternità.
Devi buttarti ad amare – dare l’anima ai fratelli – soprattutto quando sei tentato di rinchiuderti in te, a cullare la tua tristezza, a farti incapsulare dalla disperazione o dalla noia: quando più i fratelli ti danno nausea; e, potendo, sceglierai – se devi scegliere – i più repellenti. È in essi Gesù piagato, sputato, crocifisso; e così abbracci lui: lo Sconfitto, il Fallito, il Reietto. E ti metti di là dai confini del dolore; e ti unisci a Dio.
Quindi, proprio quando mondo e passioni – un viluppo di mostri – ti stringono per chiuderti in un nodo di egoismo, allora esci: cerchi Dio, cercando i fratelli evadi dalla galera, buttandoti con l’amore al Paradiso.
Il Signore ci comanda di amare il prossimo, cioè chi, di momento in momento, ci si fa vicino, in casa, al negozio, all’ufficio, per strada, al lavoro, al teatro… Questo dà concretezza all’amore. Ché amare genericamente, tutti, specie i lontani, è bello, ma costa poco e rende meno, quando non diventi un’evasione dagli obblighi del servizio che l’amore comporta. La croce è servire di fatto chi ci passa accanto: i familiari, i compagni di lavoro e di viaggio, di parrocchia e di quartiere: i passanti che incontriamo; quelli che, per essere più vicini, sono forse più remoti. Se amiamo questi, per essi amiamo tutti, come per una propedeutica pratica. Gesù servì i figli d’Israele, nel suo paese, nel suo tempo, ora per ora, villaggio per villaggio, per servire, in essi, concretamente tutti, di tutti i tempi e luoghi.
(Da Il Fratello, Figlie della Chiesa, 1954)