I piccoli profeti uccisi a Gaza
Si chiamano Ahmed, Zakaria, Mohamed e Ismail. Sono quattro cugini della famiglia Bakr. Sono i quattro ragazzi uccisi ieri sul mare di Gaza, dove giocavano a pallone. Li ha colpiti la marina israeliano, con una bomba lanciata dal mare. Non sono né i primi né gli ultimi ad essere uccisi in questa tragedia.
L’associazione Save the children ieri dava questi numeri (ma già oggi tutto è cresciuto e cambiato): uccise 260 persone, di cui 149 civili e tra loro 42 bambini. Ma dietro la ragioneria fredda dei numeri ci sono le persone, con nome e cognome, con una storia e un desiderio di futuro che in un attimo viene cancellato.
Ma chi sono questi quattro ragazzi? Perchè ci interpellano? Non ci possiamo accontentare di essere spettatori di questa quotidiana tragedia, cercando buona coscienza ai nostri silenzi e soprattutto alle nostre omissioni.
Gesù nel Vangelo di Luca al cap. 11 dice: «Manderò a loro i profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno, perché sia chiesto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria. Si vi dico ne sarà chiesto conto a questa generazione».
Se Abele è profeta, anche questi quattro piccoli bambini palestinesi sono profeti. Gesù chiama Abele profeta, anche se in tutta la sua storia mai ne dice una parola, perché per lui parla il suo sangue innocente versato. Anche questi quattro ragazzi sono profeti in forza del loro sangue innocente versato.
Il sangue di Abele parla come il sangue di questi ragazzi. Questo sangue innanzi tutto parla a Dio e denuncia la violenza del mondo, in qualunque modo venga giustificata e legittimata. Dice Gesù che a questa generazione sarà chiesto conto di questo sangue innocente.
La Lettera agli ebrei dice che il sangue di Gesù è più potente ed eloquente di quello di Abele, ma allora questo significa che il sangue di Abele è potente ed eloquente. Questo vale per il sangue di questi ragazzi.
Allora il sangue di questi ragazzi è giudizio sulla follia di Hamas e sulla follia del governo israeliano, i veri volti del partito della guerra in quell’area; sui silenzi e sulle omissioni della comunità internazionale, dell’Europa e degli Stati Uniti, incapaci di svolgere un ruolo di pace e di cooperazione in tutto il Mediterraneo.
Chi è stato a Gaza sa che è una prigione a cielo aperto, ma i carcerieri di questa prigione sono due: Hamas che lucra il suo potere politico, tenendo sotto il tallone sempre più fragile una popolazione sfibrata da sette anni di politica dissennata dell’estremismo; e il governo israeliano che specula su questa situazione, per rafforzare la sua leadership. Chi è stato a Gaza sa e conosce i quartieri fatiscenti, in cui vive la maggioranza della popolazione che sopporta condizioni igieniche e sociali sempre più intollerabili e inaccettabili.
Dunque i quattro ragazzi sono stati uccisi da molti, non da pochi, portando ciascuno un granello di incenso all’idolo della guerra e della violenza.
Questa generazione, che riguarda Israele e la Palestina, l’Europa e il mondo, è giudicata dal sangue di questi ragazzi. Ciascuno non è stato custode di suo fratello, ma ha cercato l’astuzia della politica e dell’ideologia per uccidere il fratello.
Ma questi quattro ragazzi, il cui nome vogliamo ancora ricordare: Amhed, Zakaria (come il profeta di cui parla Gesù), Mohamed e Ismail, sono al tempo stesso giudizio, ma anche dono di Dio per questa generazione. Essi, prigionieri della violenza, cercavano solamente il gioco e l’amicizia.
Essi indicano un’altra strada, quella del perdono, del dare la vita, dell’amicizia e dell’incontro. Allo stesso modo hanno indicato questa strada i ragazzi israeliani sequestrati e uccisi alla periferia di Hebron e il ragazzo palestinese bruciato vivo a Gerusalemme Est.
Può apparire ingenuo usare la parola difficilissima del perdono in queste ore, in cui il conflitto diventa sempre più grave. Eppure non ci sono alternative. I bombardamenti non sono un’alternativa, uccidono i civili, che ne sono ostaggi. L’entrata via terra non è una alternativa, anzi aprirebbe squarci imprevedibili.
A Gaza tutti potrebbero perire. Se Israele non vuole perdere l’anima, se Hamas non vuole sparire devono ascoltare questa profezia di Dio, che sono i quattro bimbi uccisi. Essi, con il loro sangue versato, narrano il sentiero di Isaia, il sentiero della pace che trasforma le lance in falci e le spade in vomeri.
E oggi le falci e i vomeri sono il perdono e la riconciliazione, sono la cura dei bambini feriti nel cuore e nella vita, sono una politica che ripudi la guerra e riconosca il diritto della Palestina ad uno Stato e di Israele alla sicurezza.
Essi narrano il coraggio della pace, per usare una espressione di papa Francesco. Ci vuole più coraggio a far tacere le armi che a bombardare e a scaricare sugli altri la responsabilità di questo. Gli innocenti, i bambini innocenti, il cui sangue versato arriva fino a Dio, sono i veri profeti di questo tempo.