I pesci non chiudono gli occhi
Erri De Luca - Feltrinelli
Ogni scrittore nasconde un secondo scrittore. Di solito quello di successo cela quello che lo scrittore preferirebbe essere, ma che inevitabilmente non conosce lo stesso successo del primo. Lo so anche per esperienza personale. De Luca ha anch’egli due scrittori in sé, il romanziere “leggero”, cioè soave, che scrive poche pagine ma intensamente, quello che ripercorre sempre e immancabilmente la propria vita – passata presente futura – e la propone con grazia, attenzione e successo.
E poi c’è l’Erri De Luca che lui forse preferisce, cioè l’appassionato di Bibbia ed ebraismo, colui che vive della parola di Dio pur non essendo esplicitamente credente. Di molto minor successo. Difficile, ostico, biblico nella sua intransigenza, esegeta nella sua dura essenzialità.
Quest’ultimo libro appartiene al primo De Luca, quello di successo, grande successo, quello che usa poche parole per dire grandi verità. Racconta la sua estate dei dieci anni, della conoscenza del verbo amare, fino ad allora da lui considerato un semplice orpello: «Da lettore lo consideravo un ingrediente delle storie, come ci stava bene un viaggio, un delitto, un’isola, una belva». Una ragazzina gli spalancò gli occhi, gli fece “aprire” l’anima, la mente e un corpo, il suo di giovane adolescente, da lui stesso rifiutato e poco duttile: «Ma tu non chiudi gli occhi quando baci? I pesci non chiudono gli occhi». Felice Erri De Luca. Per i lettori almeno.
Pietro Parmense