I nuovi vertici della Cina

Xi Jinping è il nuovo segretario del partito comunista cinese. Succede a Hu Jintao e controlla anche l’esercito. A marzo sarà presidente della Cina.
Xi_Jinping

Concluso il 18esimo Congresso del partito comunista cinese. Si riduce a sette da nove il numero dei membri del Comitato Permanente, quello che governerà la Cina per i prossimi 10 anni. I membri sono: Xi Jinping, Li Keqiang, Zhang Dejiang, Yu Zhengsheng, Liu Yunshan, Wang Qishan, Zhang Gaoli.

Il vicesegretario uscente, Xi Jinping, è stato nominato, com’era previsto, nuovo segretario del partito e capo della commissione militare centrale. A marzo sarà anche presidente della Cina al posto di Hu Jintao. Il vicepremier uscente Li Keqiang è il “numero due” del partito e dal prossimo mese di marzo sostituirà il premier Wen Jabao. Entrambi rappresentanti di una nuova generazione di funzionari del partito sono nati rispettivamente: Xi Jinping nel 1953 e Li Keqiang nel 1955. Lo storico e sinologo professor Agostino Giovagnoli ci guida alla lettura dell’enigmatica Cina.

Una sua interpretazione del ricambio al vertice della Cina, cosa cambia?

«Xi Jinping  e Li Keqiang sono persone che hanno maggiore esperienza  internazionale e sono più aperti alla comunicazione. Non è un dettaglio il fatto che la moglie di Xi Jinping  è la nota e affascinante cantante lirica Peng Liyun. Molto conosciuta in Cina, più del marito. È una notizia che ci indica una maggiore modernizzazzione. Le nuove generazioni dei funzionari del partito sono sicuramente più aperte alle società di massa, che conoscono meglio dei loro predecessori. Anche se c’è, però, una profonda continuità nei vertici del partito. Il padre di Xi Jinping  è stato un politico famoso e un veterano della lunga marcia. Una delle novità è rappresentata dal fatto che è la prima generazione non scelta da Deng Xiaoping, che aveva indicato sia Jiang Zemin che Hu Jintao. Le nomine attuali sono frutto, per la prima volta, di contrattazioni all’interno del gruppo dirigente e questo spiega i segnali di nervosismo che hanno preceduto questo passaggio di consegne».

Di quali riforme c’è più necessità per il popolo cinese?

«La società civile cinese soffre di soffocamento per il controllo politico eccessivo, esercitato a tutti i livelli. Non si può parlare di aspirazione alla democrazia, ma è il frutto della crescita economica e sociale che ha formato una classe medio alta, non consistente nei numeri, che soffre per il miope controllo dei funzionari del partito. È una classe media più internazionale e progredita culturalmente, non necessariamente contro il regime, ma in conflitto latente contro ogni impedimento per una maggiore innovazione. Esiste una dialettica forte e positiva che permette uno sviluppo senza cambiamenti drammatici. Negli anni, però, prevedo conflitti maggiori, aperti a esiti non prevedibili».

Corruzione nei circoli del potere, disparità tra ricchi e poveri. Quali sono le emergenze da affrontare per il nuovo estabilishment?

«L’emergenza sociale è un problema, perché le disparità economiche si stanno accentuando e gli episodi di insofferenza per l’aumento dei disagi sono moltissime. Le rivolte per motivi economici e sociali sono decine di migliaia in tante aree della Cina ogni anno, molte più di quelle che conosciamo. Il regime ha un atteggiamento duplice, da una parte reprime, ma non può farlo fino in fondo perché le ribellioni nascono spesso da forme di corruzione dei funzionari o di accumulo di poteri. È uno dei fronti verso cui si fa fatica a trovare soluzioni quando il conflitto diventa sindacale, quasi una lotta di classe dentro grandi concentrazioni industriali, com’ è avvenuto per la fabbrica degli i‒phone. C’è una spinta che renderà la Cina sempre meno un Paese in cui il lavoro costa poco e i diritti sindacali sono poco rispettati. Non si arriverà a standard occidentali, ma già adesso il sistema cinese del lavoro è più protetto rispetto a Paesi come il Vietnam e la Cambogia. È un fronte aperto per la Cina nei prossimi anni».

Il misterioso vicesegretario Xi Jinping, prossimo numero uno del Partito, può diventare il nuovo Gorbaciov?

«Sono scettico. Gorbaciov era spinto e obbligato a fare le riforme da una crisi gravissima, il sistema Urss era al collasso economico. È una grande differenza perché la Cina non è in crisi, ha solo rallentato la crescita del Pil ed è una diminuzione che non dipende dal sistema Cina, ma è indotta dagli scenari europei. La Cina ha ancora degli ampi margini di crescita. È appena all’inizio di un processo industriale e vive un incremento demografico. Sono i due fattori che garantiscono, com’è stato in Europa negli anni passati, un grande tasso di crescita. La nuova classe dirigente della Cina è moderna solo per motivi anagrafici, ma è piena espressione della nomenclatura. I veri problemi possono nascere dai conflitti sociali, dalle disparità territoriali, dalle tante spinte centrifughe e dalle enormi differenze potenzialmente destabilizzanti. Finché resterà forte il controllo del partito il sistema non collasserà. Inoltre il sistema di potere è molto più collettivo e condiviso in Cina rispetto all’Urss, dove è stata sufficiente la figura di Gorbaciov per fare le riforme. In Cina le eventuali riforme andranno molto più condivise tra la classe dirigente».

E i rapporti con la Chiesa cattolica?

«Mi immagino una certa continuità. Recentemente il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha scritto un importante articolo pubblicato su una rivista di Honk Kong in cui ha avanzato la proposta di dialogo ad alto livello tra Santa Sede e governo di Pechino. Gli ultimi anni sono stati conflittuali e il cardinal Filoni dice con grande chiarezza che non si possono nascondere i problemi. Ci sono state reazioni di attenzione e interesse in funzionari del Pcc di alto livello».

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