I Nobel per la Pace al sub-continente indiano
Un premio Nobel davvero unico quello per la Pace appena assegnato a Kailash Satyarthie Malala Yousafzay. I due vincitori rappresentano, infatti, uno spaccato significativo dell’umanità del 2014.
Entrambi provengono dal sub-continente indiano. Sathyarti, giovanile ma già nonno, è indù e la giovanissima Mulala musulmana, rappresentano generazioni diverse, ma anche due Paesi simbolo della nostra storia recente: l’India ed il Pakistan.
Il primo è stato e, anche se in tono minore, resta protagonista di uno sviluppo economico sbalorditivo che lo ha portato ad essere fra le potenze a livello mondiale, sebbene ancora caratterizzato da contraddizioni interne di carattere sociale, come un sistema castale fortemente discriminante soprattutto verso i dalit (i fuori casta), una violenza spesso brutale verso la donna ed uno sfruttamento indiscriminato della forza lavoro minorile. In definitiva, uno sviluppo certamente reale, che ha però aperto una voragine fra la classe media, quella dei ricchi e gli strati meno abbienti.
Il Pakistan, invece, è da anni uno dei simboli del fondamentalismo islamico, che si è identificato col movimento talebano, mai completamente messo ai margini, e col terrorismo internazionale di Al Qaeda e Bin Laden. Oltre tutto, nonostante periodici segni di riavvicinamento e processi di pacificazione, come quello intentato da Narendra Modi, nuovo Primo Ministro indiano, dopo la sua elezione, i due giganti del sub-continente vivono dalla loro indipendenza nel 1947 in stato di tensione reciproca che può sfociare in scontri, per ora sempre limitati a zone di confine nell’area Himalayana.
Significativa, quindi, e senza dubbio motivante, la scelta della giuria del Nobel per la Pace 2014. Anche se il premio è stato assegnato per la lotta dei due attivisti «contro l’oppressione dei bambini e dei giovani e per il diritto alla loro istruzione, (perché) i bambini devono andare a scuola e non essere sfruttati economicamente», resta il fatto che quanto sopra descritto offre un quadro che permette di valorizzare in modo particolare la scelta di quest’anno.
Kailash Satyarthi, sessant’anni, ha dato vita nel corso di un impegno ultratrentennale, al Bachpan Bachao Andolan (BBA), un’organizzazione tipo Save the Children, impegnata a liberare bambini dell’immenso Paese dalla schiavitù del lavoro e dello sfruttamento minorile. Satyarthi con le sue attività ed il suo impegno ne ha liberati circa 80 mila, riuscendo anche a realizzare un processo di re-integrazione sociale e riabilitazione, assicurando la frequenza a programmi scolastici.
Una delle iniziative più interessanti ed originali realizzate dal BBA è quella dei Bal Mitra Gram, villaggi modello che sono stati capaci di liberarsi della piaga dello sfruttamento della manodopera minorile e si sono fatti promotori e sensibilizzatori della causa, cercando di assicurare che i bambini possano essere liberi di frequentare le scuole, soprattutto negli stati del Rajasthan e del Jharkhand dove lo sfruttamento minorile è da sempre diffuso.
In questi villaggi i bambini possono partecipare anche al processo decisionale per la politica locale sui minori, e interagiscono con l’amministrazione ufficiale, il cosiddetto Gram Panchayat (governo del villaggio).
Il nuovo premio Nobel indiano è riuscito, soprattutto, a portare all’attenzione del suo Paese e a quella dell’opinione pubblica internazionale la questione dei diritti del bambino, sensibilizzando con varie iniziative i consumatori dei Paesi, in particolare quelli occidentali, alle condizioni di vita di bambini impiegati in vari settori produttivi. Il gigante asiatico annovera, ufficialmente, circa cinque milioni di minori impiegati in condizioni di lavoro spesso disumane e di tipo schiavistico.
Satyarthi, un promettente ingegnere elettrico, all’età di 26 anni ha rinunciato ad una brillante carriera dedicando praticamente tutta la sua vita alla causa dei minori e dei loro diritti, criticando apertamente il loro sfruttamento in un confronto coraggioso con le lobby di produzione di materiali e prodotti che normalmente coinvolgono manodopera minorile: l’industria dei tappeti, per esempio, o quella dei bidhi, le tipiche sigarette indiane fumate dai poveri e fatte semplicemente con una foglia di tabacco secca arrotolata e fermata con un filo di cotone rosso.
Ha, poi, dato vita a organizzazioni con respiro ed impegno internazionale come International Center on Child Labor and Education(ICCLE)e la Global March Against Child Labour, entrambi reti di enti non governativi che vedono insegnanti, operatori ed attivisti sociali impegnati in prima linea per garantire la necessaria formazione scolastica ai bambini che vengono liberati dalla catena di sfruttamento.
Uno degli esempi più significativi dell’impegno del nuovo Nobel indiano è il Rugmark (conosciuto anche come Goodweave), un sistema di monitoraggio e di applicazione di etichette di garanzia per tappeti prodotti senza manodopera minorile. Si tratta di una iniziativa di successo, all’interno dei mercati nordamericano ed europeo, per creare una adeguata coscientizzazione ad un consumo e ad un commercio socialmente responsabili.
La giovanissima pakistana, Malala Yousafzay, è stata invece protagonista di una storia drammatica. Come si ricorderà, la sua vicenda aveva suscitato raccapriccio e ammirazione. Malala, infatti, era entrata nel mirino dei Talebani dopo che aveva affidato alla Bbc il suo diario in urdu nel quale raccontava la vita sotto il regime dei fondamentalisti islamici. Era stata attaccata, insieme a due altre compagne nella Swat Valley, la zona del Nord est del Pakistan, ed era stata gravemente ferita.
Trasportata in Inghilterra, era sopravvissuta diventando un simbolo della capacità di reagire alle avversità e di impegno per la causa dell’istruzione ai bambini e alle bambine del mondo, un diritto inalienabile. Non potendo più tornare nel suo Paese, Malala ha continuato a lavorare con impegno alla sua causa. Commovente, lo scorso anno, il suo intervento alle Nazione Unite.
La ragazza pakistana è ora la più giovane vincitrice di un Nobel. Ha infranto, infatti, il record che aveva stabilito praticamente un secolo fa, nel 1915, Lawrence Bragg, che ricevette il riconoscimento per la Fisica a 25 anni. Particolarmente significative la parole che spiegano la motivazione dell’assegnazione del Nobel. «Nonostante la sua giovane età Malala Yousafzay ha già combattuto diversi anni per il diritto delle bambine all’istruzione ed ha mostrato con l’esempio che anche bambini e giovani possono contribuire a cambiare la loro situazione. Cosa che ha fatto nelle circostanze più pericolose». «Attraverso la sua lotta eroica è diventata una portavoce importante del diritto delle bambine all’istruzione».
La più giovane vincitrice di sempre di un premio Nobel ha ricevuto la notizia mentre si trovava, come tutte le mattine, a scuola, a Birmingham, in Inghilterra, dove è rimasta dopo le cure. La bambina di 11 anni della Valle di Swat, si è trasformata in un’attivista per i diritti umani e per il diritto all’istruzione riconosciuta sulla scena internazionale, tanto da aver ricevuto il premio Sakharov lo scorso anno ed ora il Nobel che ha detto di «non meritare, non avendo fatto ancora abbastanza».