I misteri di Nefertiti

Al Neues Museum di Berlino un capolavoro dell’arte egizia. Una mostra celebra il centenario della scoperta
nefertiti

Il suo nome vuol dire “La bella è arrivata”. Ed è davvero di una bellezza enigmatica, senza tempo e al tempo stesso di una modernità sconcertante. Parlo di quel capolavoro assoluto della scultura egizia che è il busto di Nefertiti, la sposa del faraone Akhenaton che regnò dal 1359 al 1342 a. C. durante la XVIII dinastia: come la Gioconda di Leonardo, uno dei simboli universali della bellezza femminile, davanti al quale sfilano ogni anno almeno mezzo milione di visitatori incantati.

Il Neues Museum di Berlino, che ospita dal 2006 questa meraviglia (fu rinvenuta a Tell el-Amarna il 6 dicembre 1912 dall’archeologo tedesco Ludwig Borchardt), le ha dedicato una mostra dal titolo Nella luce di Amarna. I cento anni della scoperta di Nefertiti, fino al 13 aprile 2013.

Poco si sa di questa donna, che comunque dovette avere grande influenza sul faraone suo sposo, se venne  rappresentata con lui sempre in atteggiamenti affettuosi e se lo stesso Akhenaton ne volle riprodotta l’immagine perfino ai quattro angoli del suo sarcofago, al posto delle divinità tradizionalmente deputate proteggere la mummia.

Poco si sa, ma una cosa è certa: ha impegnato fior di studiosi nel tentativo di far luce su almeno qualche mistero della sua vita. Tra gli altri, lo svizzero Henri Stierlin, che giudicando “troppo moderno” il profilo della scultura, l’ha definita «una volgare copia art déco creata nel 1912» in un saggio apparso due anni fa, che ha fatto scalpore.

Questa accusa di falso non è rara, quando un’opera esce fuori da certi canoni: accadde lo stesso quando, a partire dalla fine dell’Ottocento, cominciarono ad affiorare dalle sabbie dell’oasi del Fayum certi straordinari ritratti funebri di epoca ellenistica, che ricordavano l’impressionismo e Cézanne, nonché Modigliani e Picasso. E che dire del celebre Trono Ludovisi, orgoglio del Palazzo Altemps a Roma? Per qualche critico era così bello e atipico che non poteva essere l’originale greco che pretendeva di essere.

Ma guardiamola più da vicino, questa Nefertiti oggetto di un lungo contenzioso col Museo del Cairo, che ne reclama la restituzione. Il busto scolpito in pietra calcarea, dipinto e preziosamente ornato con lamine auree, lapislazzuli, malachite e calcedonio, raffigura una donna non più giovanissima ma nello splendore della sua maturità, col modio come copricapo e il pettorale. Il volto allungato, di una eleganza e maestà uniche, di recente ha rivelato sotto uno spesso strato di stucco, grazie a sofisticate apparecchiature, una fisionomia più anziana e meno perfetta. Forse la trasformazione avvenuta doveva restituire il volto ideale della sovrana, così come la ricordava e l’amava  il faraone, prima di doverla ripudiare. Si tratterebbe comunque di un modello per i ritratti ufficiali della sua sposa. E l’occhio sinistro, che appare spento, vuoto, sembrerebbe lasciato apposta così dallo scultore per mostrare agli allievi come dipingere il bulbo oculare.

Ma c’è pure chi, più fantasiosamente, spiega tale assenza come uno sfregio per la mancata  corrispondenza, da parte della regina, alle attenzioni del grande scultore di corte Thutmosi, nel cui atelier la scultura venne rinvenuta. L’occhio bianco, in effetti, compare in un’antica formula magica egizia quale attributo dispregiativo, in contrapposizione all’”occhio vivo” di Horus, il dio falco.

Occhio vivo o spento, Nefertiti, ci trapassa guardando oltre noi, verso l’eternità verso la quale – come ogni egiziano del suo tempo, faraone, nobile o schiavo che fosse – aspirava.

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