I mille volti del Cristo

In contemporanea con l’esposizione della Sindone, Torino rilegge le raffigurazioni del Messia.  
Rubens

Raccolti da Thimoty Verdon, studioso d’arte cristiana, sfilano le figure del Cristo nella Reggia di Venaria a Torino. Un corteo di immagini: sculture, oreficerie, dipinti, paramenti sacri, dove è lui, il Messia il protagonista assoluto. Il suo corpo. Nel quale è racchiuso il corpo dell’uomo, di ogni uomo. L’arte lo ha intuito da secoli, e l’ha espresso secondo le forme di ogni tempo. Non saremo mai abbastanza grati alla decisione cattolica di aver reagito positivamente alla tendenza iconoclasta che vietava nell’ottavo secolo il culto delle immagini. Diversamente, l’arte occidentale sarebbe rimasta priva – pensate ad immaginarlo – di artisti come Giotto, Michelangelo, Rembrandt, Caravaggio, Goya…

 

La rassegna torinese ruota intorno al Crocifisso ligneo del giovane Michelangelo. Immagine di bellezza calma, di una fede consolante sul dolore che redime. Intorno ad esso le Pietà ligneee italiane ed europee offrono una immagine di sofferta compenetrazione fra la sofferenza della madre nei confronti del Figlio e quella di ogni madre col proprio figlio.

Questo del Cristo è un corpo che ha sofferto oltraggi tremendi, come testimoniano le icone sanguinanti del Volto Santo e le raffigurazioni cruente della Passione , di cui specchio è la celebre – non in mostra ma ben presente alla memoria di chiunque – Crocifissione di Grunewald a Colmar: sintesi di un’epoca che vede nelle ferite del Redentore le proprie stesse ferite.

 

Il Cinquecento è anche l’epoca dei Cristi portacroce, nelle versioni padane e venete.  Spesso immagini dolcissime, come la tela di Giorgione, o quella del Garofalo, col Cristo biondo che guarda in  faccia lo spettatore, con occhio mite e rassicurante: lui porta il suo dolore e incoraggia il devoto a portarlo insieme a lui.

Certo, il rinascimento esalta la corporeità del Messia e spesso la idealizza, come nelle tele del Veronese o di un Tintoretto, mentre i manieristi – il Rosso Fiorentino, ad esempio – la esasperano in Pietà addirittura terrorizzanti. E’ una esasperazione della sofferenza che risente dell’eco dei Fiamminghi, la cui devozione alle “piaghe” del Salvatore genera tavole di colori lamentosi e brucianti, di Cristi dagli occhi arrossati di pianto, di fiumi di sangue sul volto e il corpo.

Fino alla resurrezione. Abbandonate le melodrammatiche Pietà di un Carracci o di un Reni,  lo sguardo si ferma sul Cristo vigoroso, squillante di luce e di salute con cui Rubens annuncia una gloria – fisicamente tattile – trionfante e quasi carnale. Mentre Caravaggio o Rembrandt nelle Cene in Emmaus vedono il Risorto sotto l’ombra della mistica interiorizzata che è soprattutto una luminosità intima, una accensione spirituale, dove il Cristo è nel suo corpo glorificato, spiritualizzato.

La passione e la resurrezione del Cristo rendono ragione della passione del suo “corpo mistico”, ovvero dei cristiani, e qui la rassegna porta gli esempi dei martiri più crudeli ma anche pieni di una fede ardente, come quella che genera il culto dell’Eucarestia.

Ma fra tutte l’immagine che resta  più impressa è quel Volto di Cristo del Mantegna, dalle palpebre abbassate, pervaso da una mestizia soave e da un lacrimare spirituale di straordinaria intensità religiosa e poetica. Non è un volto divino, è il volto dell’uomo che ama e che soffre, è il corpo che esprime i sentimenti dell’anima allo stato perfetto..

Fra le mille interpretazioni del corpo del Cristo, questa rimane la più suggestiva, la più struggente. Raramente il divino si è reso nell’arte così vicino alla vita di ogni uomo.

 

Mario Dal Bello

Gesù. Il corpo, il volto nell’arte.  Venaria Reale (Torino), fino al 1/8 (catalogo Silvana editoriale, La Venaria Reale).

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