I meccanismi dell’accountability

Come possono i cittadini “controllare” l’operato dei propri rappresentanti? Quali strumenti hanno a disposizione?  Anna Ascani li definisce nel saggio Accountability, la virtù della politica democratica (Città Nuova, 2014)
Accountability

Per accountability, come abbiamo visto, si intendono mecca­nismi di domanda, argomentazione/giustificazione e controllo che, naturalmente, non sono riferibili esclusivamente all’ambi­to della politica. […]

Secondo lo studioso austriaco Schedler, si deve tener conto del fatto che, affinché vi sia un’effettiva relazione di ac­countability, i due estremi del rapporto, chi controlla e chi è controllato, chi limita e chi è limitato, non possono mai essere posti sullo stesso piano. Per quanto tale tesi possa risultare, senza dubbio, fondata e benché essa ci obblighi a riflettere sul­la situazione concreta nella quale versano i nostri ordinamenti, tuttavia questo non ci esime dalla necessità di prevedere un sistema di checks and balances che contribuisca a mantenere in equilibrio le istituzioni democratiche dei nostri Paesi, ten­tando in questo modo di evitare, per quanto possibile, lo sci­volamento verso il dispotismo, chiamato in causa poco sopra in relazione a Rousseau. Se non si potrà, dunque, parlare di equivalenza, dovremo, però, continuare a esprimerci in termi­ni di reciproca autonomia e reciproco rispetto, così da non in­taccare l’effettività dei meccanismi di “freno e contrappeso”.

[…]

Quello che qui ci interessa maggiormente prendere in considerazione è la relazione “verticale” che regola i rapporti tra rappresentanti e rappresentati. A questo proposito Rousseau ci direbbe che «l’atto istitutivo del Governo non è affatto un contratto, ma una Legge; che i depositari del potere esecutivo non sono in alcun modo padroni del popolo, ma suoi funzio­nari; che il popolo può nominarli e destituirli quando vuole; che non si tratta assolutamente per loro di contrattare ma di obbedire; e che, assumendo le funzioni impostegli dallo Sta­to adempiono semplicemente al loro dovere di Cittadini». Sappiamo bene che non sono queste oggi le condizioni della rappresentanza in un ordinamento democratico e che se, co­me abbiamo detto, si vuole raggiungere un certo grado di sta­bilità e far sì che un governo possa agire in maniera efficace si dovrà garantire un qualche spazio di autonomia ai rappresen­tanti.

Dunque i meccanismi di accountability elettorale, che si inseriscono nel punto di mediazione tra effettività del potere e necessità del controllo, avranno, da questo punto di vista, un’importanza cruciale. Essi, come sostiene Pasquino (giocan­do molto sul significato del termine account), si articolano se­guendo tre fasi principali:

1. Indagine: i candidati a ricoprire il ruolo di “rappre­sentanti”, a tutti i livelli, “prendono in conto” le richieste dei cittadini, alimentando una fase di ascolto e di proposta, che prevede un dialogo aperto e responsabile, volto a conoscere preferenze, interessi, umori e sentimenti dell’elettorato;

2. Scelte: una volta eletti, i rappresentanti sono chiamati a “tener conto” delle richieste che sono state loro avanzate e delle istanze provenienti dal territorio di riferimento; al tempo stesso, qualora si trovino nella condizione di dover prendere delle decisioni concernenti temi che non sono stati oggetto della campagna elettorale, essi possono tornare dai cittadini e avviare una nuova fase d’ascolto, oppure, se le circostanze richiedono la definizione rapida dei provvedimenti da assu­mere, debbono comunque cercare di “anticipare” preferenze, interessi, umori e sentimenti che sono in ogni caso chiamati a rappresentare;

3. Argomentazione/Giustificazione: al termine del man­dato (ma anche durante lo svolgimento di esso, qualora in­tervengano particolari circostanze) i rappresentanti devono tornare di fronte ai cittadini a “rendere conto” di quanto è stato fatto, non fatto, o “malfatto” e a darne ragione. A questo punto il processo di accountability elettorale ricomincia dalla prima fase, nella quale, chiaramente, si pensa che l’elettorato “terrà conto” del comportamento dei rappresentanti in carica e deciderà, su quella base, se riconfermarli o meno.

La ragione per la quale ci siamo soffermati a lungo sulle definizioni e sulle distinzioni consiste anzitutto nel tentativo di evitare che l’accountability divenga, come afferma Mulgan, un ever-expanding concept, che cioè vi si faccia riferimento in modo retorico, utilizzandolo per corteggiare il pubblico di turno, senza tuttavia interessarsi dell’idea presa in se stessa e della risorsa che esso può costituire qualora se ne compren­da la reale portata. Per questo riteniamo che debba essere sottoposto a critica l’atteggiamento che Dubnick propone in Accountability as a Meta-Problem, testo nel quale lo studio­so statunitense, dopo aver esaminato la natura “multiforme”, “polimorfica”, “sinonimica” e “contestuale” del termine, fi­nisce per considerare l’accountability come il “meta-proble­ma” della governance moderna, paragonandolo al problema del male e a quello della libertà, ovvero a quelle questioni che, pur essendo costantemente al centro dell’interesse della filo­sofia e della letteratura di diverso ambito, non possono però trovare una soluzione definitiva. Far questo significa confon­dere, di nuovo, i fondamenti e le implicazioni, la parte e il tutto.

Il problema della governance moderna e i conflitti sui quali ci siamo soffermati nel paragrafo precedente (relativi al­la difficoltà nella quale inevitabilmente ci si imbatte tentando di conciliare potere e libertà) non possono essere ridotti allo studio dei meccanismi di domanda e controllo che sottendono all’idea di accountability, per quanto essi rientrino, senza dub­bio, nell’ambito di una riflessione così condotta. Tornando a servirci dell’immagine proposta da Machiavelli, che ha fatto fin qui da guida alla nostra riflessione, gli “argini” che stiamo tentando di costruire non sono certo sufficienti a evitare che il livello delle acque s’accresca incredibilmente e che la Fortuna faccia il proprio corso: essi non servono, infatti, a impedire che si verifichi la piena, ma soltanto a limitare i danni e a ge­stire le conseguenze. Fuor di metafora, dunque, non si può pensare che basti parlare di accountability per risolvere il pro­blema fondamentale della governance inerente alla relazione tra potere e libertà. Un’impostazione di questo tipo produrrà inevitabilmente risultati nulli, perché, com’è ovvio, un “mec­canismo” non può risolvere una questione sostanziale, e tutto ciò farà sì, piuttosto, che il concetto di accountability finisca per essere considerato vuoto e retorico.

Lungi dal poter costituire la soluzione di tutto (e, dun­que, come ammette lo stesso Dubnick, la soluzione di nulla), quello di accountability è infatti un concetto “modesto” e pre­suppone una certa opacità ineliminabile del potere. Per fare un esempio, se, in quanto forma di controllo, l’accountability sembra avere di mira l’assoluta trasparenza delle pratiche po­litiche, tuttavia il semplice fatto che si continui ad avvertirne la necessità presuppone una costitutiva mancanza di chiarezza; se non esistesse il pericolo della piena o se fossimo in grado di evitarla non avremmo alcun bisogno di argini.

 

Anna Ascani, Accountability, la virtù della politica democratica

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