I marò non torneranno in India

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone resteranno in Italia nonostante l'impegno di tornare nello Stato indiano. Proteste nel Kerala. Un approfondimento
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Dopo tredici mesi di braccio di ferro, ecco lo strappo. I marò che, dopo quello ottenuto per le feste natalizie, avevano ricevuto un secondo permesso da parte delle autorità indiane, questa volta per ottemperare al loro diritto di votare in Italia resteranno nel nostro Paese.

L’annuncio della decisione presa dal nostro ministero degli Esteri è, ovviamente, destinata a far discutere e, senza dubbio, non sarà esente da conseguenze. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone si sono trovati al centro di un caso complesso ed intricatissimo, avvenuto in un momento particolare del Paese nei pressi dei quali si trovavano, l’India alla vigilia delle elezioni. Al di là dell’accaduto, senza dubbio doloroso perché costato, probabilmente per un fatale errore, la vita a due pescatori indiani scambiati per pirati, il fatto ha dato all’India la possibilità di dimostrare sia la sua sovranità sia la capacità di gestire situazioni intricate a livello internazionale, resistendo anche alla pressione esterna.

La vicenda, come si aspettavano quelli che conoscono bene il Paese asiatico, sarebbe stata lunga e, probabilmente, sarebbe continuata su tempi altrettanto strascicati, se il nostro ministero non fosse intervenuto con un’azione a sorpresa per mettere un freno, dice qualcuno, o per mettere fine, sarebbe meglio dire, ad una questione imbarazzante ormai per entrambi i governi.

A fronte della dichiarata autonomia del governo di Delhi, che ha sempre sostenuto di avere la giurisdizione e la competenza per giudicare i due italiani, la diplomazia del nostro Paese ha insistito sul diritto a giudicare gli accusati perché l’atto, se avvenuto, ha avuto luogo in acque internazionali. Il governo italiano ha, di fatto, preso la scorciatoia più comoda, dichiarando, fra l’altro: «Il governo italiano ritiene che sussista una controversia con l’India», e che, dunque, sia necessaria una soluzione a livello internazionale. Il Paese asiatico non ha mai sopportato di buon grado intromissioni dall’esterno: il caso Kashmir, lo Stato a Nord del Paese conteso, almeno in parte, dal Pakistan, insegna.

Sulla decisione della Farnesina non ci sono stati negoziati con il ministero degli Esteri di New Delhi. Pare che, semplicemente, sia stata consegnata una nota con il dato di fatto.

Certo è che la diplomazia difficilmente si stacca dalla politica. Come in Kerala era facile vedere che il caso marò poteva essere un prezioso investimento politico per le elezioni locali dello scorso anno e per mostrare che l’India ha un suo peso diplomatico internazionale, così l’Italia prende questa decisione in un momento di debolezza politica, come forse il Paese non ha mai conosciuto nella storia recente. Nel giro di pochi giorni si riuniranno le Camere e si dovrebbe formare un governo che, in questo momento, pare piuttosto chimerico. La decisione di un’eventuale decisione-strappo doveva essere, quindi, presa dal governo in carica, sebbene ormai al termine del mandato, pena un possibile allungarsi oltre qualsiasi previsione del caso dei marò.

Ovviamente il nostro Paese ha dimostrato con un atto di questo tipo una debolezza di fondo: l’India aveva dato un segno di fiducia nei nostri confronti, senza ricevere una risposta adeguata, come era, invece, stato per la licenza natalizia dei due marò, tornati in Kerala nei tempi previsti.

Da parte indiana, i quotidiani hanno dato risalto alla decisione italiana e, senza dubbio, non ci abbiamo fatto una bella figura sia come Paese sia come italiani. Le testate parlano di «affronto» e «tradimento». Oommen Chandy, il Primo ministro dello Stato del Kerala che aveva arrestato i due italiani e li aveva tenuti in custodia e agli arresti per vari mesi, ha reagito con forza ed ha assicurato che non demorderà dalla sua intenzione di vedere gli italiani condannati. D’altra parte, è apparsa saggia la decisione dell’ on. Salman Kurshid, ministro degli Esteri indiano, che ha commentato con un salomonico: «Meglio non reagire ora».

Potrebbe anche essere che la decisione di Terzi abbia aiutato l’India ad uscire da un'impasse che non aveva una via di fuga: da una parte l’opinione pubblica voleva un processo dei maro, dall’altra la diplomazia sembrava suggerire una soluzione di compromesso. Lo strappo diplomatico, forse, ha aiutato entrambi.

Ma resta da vedere come si gestirà il periodo successivo alla decisione e se New Delhi prenderà qualche decisione nei confronti del nostro Paese.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons