I mal di pancia del Pd
Non si fa in tempo a riprendere familiarità con la scrivania o il negozio o l’aula o quello che sia il proprio luogo di lavoro (solo per chi ce l’ha, purtroppo), che ecco inesorabile l’aria delle elezioni. Siamo in un Paese elettorale, si sa, dove anche le rituali amministrative di primavera assumono la solennità delle tenzoni nazionali. Figuriamoci quindi questo settembre, preludio dell’ultimo autunno di legislatura e della sfida vera, quella delle politiche.
L’aria è già rovente e a tenere banco è soprattutto l’area di centro-sinistra, dove una vera e propria campagna elettorale è iniziata davvero, quella delle primarie. Così, vuoi per i dibattiti alle varie Feste, vuoi per le annunciate partenze in camper del giovane Renzi, il Pd è la forza politica che si guadagna i titoli della stampa. Purtroppo, però, l’immagine che ne emerge è decisamente confusa, che la si guardi nella dimensione interna o esterna.
Al suo interno il Pd cerca il candidato alla presidenza del Consiglio e la cosa appare piuttosto forzosa. Ci sono già i candidati, ma non risulta che le primarie siano già state effettivamente indette e ne siano state definite le regole. In più, l’incertezza sulla legge elettorale fa porre agli stessi dirigenti del partito la domanda fondamentale, cioè se le primarie siano compatibili con un possibile ritorno al proporzionale.
A questo sfondo di incertezza, in un clima da invettive e proclami degni delle presidenziali americane, si aggiunge l’incertezza massima: quella delle alleanze. Ed ecco la fotografia del Pd nelle sue relazioni esterne, dai contorni poco nitidi. Il segretario Bersani ha annunciato la coalizione con Sel di Vendola; poi, in prospettiva l’allargamento all’Udc di Casini: un modo, insomma, davvero abile per far scontento tutto l’elettorato.
Ma a parte i mal di pancia degli elettori Pd a dover digerire Casini e specularmente quelli dell’Udc a dover digerire non solo Vendola ma lo stesso Pd, c’è un problema di sostanza che riguarda la possibilità effettiva di tenere assieme nella stessa maggioranza gli ultras del governo Monti con i suoi avversari tra i più fieri. Tanto più che sia l’annuncio dell’alleanza Pd-Sel, che le aperture all’Udc non sono accompagnati da idee programmatiche o possibili azioni di risanamento, condivise o almeno condivisibili da tutta la compagine.
Ecco quindi l’effetto-Ulivo che si ripropone, con brivido alla schiena di tanti italiani e con sospiro di sollievo del Pdl, che ripone non poche speranze in un esito del genere nella metà campo avversaria.
Il Paese però – inutile dirlo – non può permettersi questo moderato livello di confronto politico. La crisi non è passata e il mondo ci guarda: in questo passaggio della vita del Paese è necessario partire da un programma credibile (che non vuol dire “scritto dalla BCE”), sul quale chiedere alle forze politiche di convergere. Se si sottoscrive un programma, la varietà delle provenienze può passare in secondo piano.Sotto questo profilo le primarie possono essere un’occasione per approfondire le ricette dei vari candidati, dibattere sulla loro capacità ad affrontare la situazione e a raccogliere consenso, interno ed esterno al partito e al Paese.
Potrebbero essere utili anche per tentare di promuovere una nuova classe dirigente, eterno problema di questa Italia invecchiata.Tanto più che anche nel Pdl si torna a parlare di primarie, considerata l’indecisione di Silvio Berlusconi a confermare la sua sesta corsa a Palazzo Chigi.
Ma se al contrario devono servire alla resa dei vari conti, a invelenire ulteriormente il clima, in fin dei conti a chiudere il sistema consacrando l’arroccamento del vecchio establishment, impedendo, ad esempio, a qualche bravo ministro stimato all’estero di poter entrare nell’agone, beh, se anche non si tenessero non ne sentiremmo la mancanza.