I Magi ritrovati
Sono due i Magi riapparsi nella Catacomba dei Santi Marcellino e Pietro, come due erano gli alberi di alloro (“Ad duas lauros”) da cui prese nome quest’area di proprietà imperiale lungo l’attuale Casilina. Perché due e non tre come tradizione, i sapienti giunti da lontano per adorare il Salvatore? Premesso che il Vangelo di Matteo non ne indica il numero e che nell’arte paleocristiana esso si stabilizza, in genere, su tre (evidente richiamo ai doni portati), i Magi riscoperti in questo complesso cimiteriale dedicato al presbitero e all’esorcista romani martirizzati nel 303 sotto Diocleziano sono due, probabilmente, per motivi di spazio e per una scelta estetica.
Li ha svelati un raggio luminoso guidato da esperti restauratori: il laser. Una tecnica moderna, rivelatasi particolarmente efficace nel rimuovere le incrostazioni prodotte dall’umidità e dalle torce dei secoli passati sul ciclo di affreschi di questa catacomba, tra i più importanti e anche tra i meglio conservati dell’arte paleocristiana: restauri finanziati da una fondazione culturale dell’Azerbaigian.
L’intervento a favore di un monumento cristiano da parte di un Paese di religione islamica sciita, oltre a testimoniare gli ottimi rapporti diplomatici intercorrenti tra l’Azerbaigian e la Santa Sede (un analogo restauro ha interessato i manoscritti azeri custoditi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana), è un segno di speranza in un mondo dove troppo spesso al dialogo tra culture diverse si sostituisce lo scontro.
Particolare significativo: l’Azerbaigian era la terra di Zoroastro, in cui veniva celebrato il culto del fuoco, ed astronomi e sacerdoti zoroastrani erano appunto, secondo la tradizione, i Magi venuti a rendere omaggio a Gesù.
Guardiamoli ora da vicino: vestiti con i tipici costumi persiani (corta tunica, pantaloni aderenti e berretto frigio), spiccano sull’intonaco bianco di un cubicolo decorato con le raffigurazioni della resurrezione di Lazzaro e della moltiplicazione dei pani. Affiancano, recando i loro doni, Maria col Bambino seduta su un alto seggio, prototipo delle innumerevoli Madonne in trono di età bizantina e medievale.
La freschezza cromatica di questo affresco e degli altri già restaurati ci riporta indietro di duemila anni, all’epoca in cui ignoti pittori li definirono con rapide pennellate al lume di qualche lucerna. È ripercorsa tutta la storia della salvezza: Giona e la balena, Daniele nella fossa dei leoni, Noè uscito dall’Arca dopo il diluvio, Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, Gesù che guarisce il paralitico, la donna con perdite di sangue, lo storpio…. E inframmezzate a scene dell’Antico e Nuovo Testamento, immagini di fossores (gli addetti alla sepoltura e alla manutenzione del cimitero) e di personaggi oranti, e miti pagani reinterpretati secondo la nuova fede: come Orfeo, il giovane trace che col suo canto ammansiva gli animali, qui diventato Cristo vincitore della barbarie con l’evidenza della sua verità.
Ai primi secoli dei cristianesimo ci riporta anche il bel volume di Fabrizio Bisconti edito dalla Libreria Editrice Vaticana Primi cristiani. Con piglio divulgativo l’autore, specialista di fama internazionale della cultura figurativa tardoantica e paleocristiana, nonché tra i responsabili della pontificia Commissione di Archeologia Sacra, mette a fuoco le storie, i monumenti e le figure che caratterizzarono la civiltà cristiana antica, tra cui appunto i tesori apparsi nella Catacomba dei Santi Marcellino e Pietro.