I limiti delle operazioni di vertice

Annunciata dai leader dei principali partiti politici la proposta lascia molti interrogativi: la distanza tra eletti ed elettorato si allarga, non c’è chiarezza sulla scelta del premier e sulla maggioranza. Critici gli stessi partiti
Alfano-Bersani-Casini

Da un giorno all’altro, la ventata di sorpresa speranza che ha attraversato il mondo politico e tutto il Paese, si trasforma in attesa sospettosa. Le tre principali forze politiche presenti in Parlamento annunciano, congiuntamente, di aver stretto un accordo sulle riforme istituzionali, compresa la legge elettorale. Siti, agenzie, news-messages di ogni tipo rimbalzano la notizia qua e là.

E in effetti la nuova arriva direttamente dai tre principali leader politici: Alfano, Bersani e Casini che, dopo un “vertice a tre”, hanno diramato un comunicato stampa che anticipa anche i contenuti dell’accordo. Per le modifiche costituzionali, l’unica novità riguarda l’abbassamento dell’età per l’elettorato attivo e passivo: si potrà diventare deputato a 21 anni anziché a 25 e senatore a 35 anziché a 40; i diciottenni potranno votare anche per il Senato. Le altre proposte confermano cose già note, come il rafforzamento dei poteri del capo del governo, la distinzione di compiti tra le due Camere, la diminuzione del numero dei parlamentari a 500 deputati e 250 senatori.
 
La curiosità generale si appunta quindi sui contenuti della proposta di nuova legge elettorale. Gli articoli devono ancora essere scritti e quindi non sono pochi i dettagli (sempre importanti, a volte determinanti) che restano da mettere a punto. Ma nelle grandi linee il disegno sembra chiaro: ritorno al sistema proporzionale con superamento del sin qui malriuscito bipolarismo. Lo fa intendere la messa in disparte della coalizione pre-elettorale e il conseguente recupero di centralità dei partiti, che correrebbero ognuno per sé.
 
L’innovazione più clamorosa riguarderebbe quindi la possibilità di alleanze inedite post-elettorali, per giungere a una maggioranza idonea a tenere in vita un governo. Per quanto riguarda il capo del governo, le anticipazioni parlano di indicazione pre-elettorale; cioè ogni lista-partito farebbe la propria proposta. Gli elettori potrebbero quindi scegliere il partito e con esso, implicitamente, il candidato presidente del Consiglio, ma il risultato effettivo lo si potrà conoscere solo dopo che, conosciuti i dati elettorali, sarebbero state composte le alleanze e con esse poi individuato il vero presidente del Consiglio da proporre, congiuntamente (si spera!), al capo dello Stato per l’incarico di governo.
 
A mitigare il sistema, rendendolo un po’ più distante da quello della “prima Repubblica”, ci sarebbero: un premio di maggioranza (che rimane però avvolto nella nebbia, poiché non conferirebbe la maggioranza assoluta al partito vincente); una soglia di sbarramento (lasciando però il diritto di tribuna); l’abbandono delle preferenze. E qui veniamo a noi. Già, perché l’annuncio della nuova legge è stato fatto sotto l’egida de «il cittadino torna sovrano nella scelta dei parlamentari» e l’enfasi è cresciuta via via. La vigilanza però non è mai troppa e bisogna tenere ben d’occhio le modalità individuate per ottenere quel risultato. A quanto si sa, la metà dei seggi verrebbe attribuita in collegi uninominali e l’altra metà in liste circoscrizionali, corte e, naturalmente, bloccate. Se così fosse, il riavvicinamento tra candidati ed elettori non appare semplice da raggiungere.
 
Facciamo il caso della Camera: riducendo il numero dei deputati a 500, gli eletti in collegi uninominali sarebbero 250; il collegio medio avrebbe una dimensione di circa 110.000 abitanti. Per avere un ordine di grandezza, i collegi del “mattarellum” erano mediamente di 55.000: il rapporto quindi si raddoppierebbe. La circoscrizione per la lista “corta” diverrebbe 4-5 volte più ampia, con probabilità sempre più scarse per gli elettori di arrivare a una conoscenza diretta con i candidati e – ancor di più – di poter incidere in qualche modo nella scelta stessa delle candidature. E al Senato, com’è ovvio visto che i senatori sono la metà, la situazione peggiorerebbe.
Inoltre, i primi calcoli dicono che con questo sistema le segreterie di partito, tra collegi “sicuri” e liste bloccate, potrebbero designare all’incirca il 75 per cento del Parlamento. Bisogna ancora ragionarci su, però forse varrebbe la pena indirizzarsi verso una distribuzione dei seggi interamente attraverso collegi uninominali.
 
Comunque, al di là di questi aspetti che più toccano i diritti-doveri degli elettori (e che Città Nuova continuerà a seguire senza sosta), all’entusiasmo iniziale è già subentrata la protesta. L’impegnativa scelta di superare il bipolarismo e di riportare l’orologio indietro nel tempo, è stata compiuta dai principali responsabili delle tre maggiori forze politiche dell’attuale maggioranza; sennonché, non solo si sono sollevati i mugugni degli altri partiti (Lega Nord e Idv immediatamente e contestualmente), ma anche dall’interno degli stessi partiti sono venute subito a galla le diverse anime. Speciale menzione spetta, ancora una volta, al Pd, dove addirittura la presidente Rosy Bindi ha sconfessato l’operato del segretario Bersani. Ora, non vale prendere parte per l’uno o per l’altra; basta registrare come abbiano le gambe corte le decisioni prese nei “vertici”, quando poi dietro le spalle non c’è l’intero popolo. Speriamo che le fratture si sanino e che le forze politiche riescano a comporre un concerto armonico e credibile. Altrimenti, le aspettative del capo dello Stato e di tutto il popolo italiano resteranno di nuovo deluse.
 

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