I “Guai” di Giovanni Scifoni
Un “accadimento”, non una semplice rappresentazione. Un termine intenso, ricco di significazioni che oltrepassano la stessa parola, racchiudendo la storia, presente e passata, nel tempo della’attimo lunghissimo in cui vive nel racconto, ne suo “farsi”. Sono parole gesti volti. Tensioni, aneddoti, personaggi. Dal cattocomunismo, italiano e no, dagli anni Sessanta in poi, passando per Marx, Cristo, il vangelo, il Vaticano, Wojtyla, Oscar Romero, Guevara, Camilo Torres, l’Isolotto, sino a finire nelle Beatitudini. Ma chi ci crede poi, alle Beatitudini? E Gesù Cristo in definitiva, chi era? Tanti sono gli interrogativi che si chiedono le voci “fuori campo” di ragazzi romani di oggi.
Nessuna teatral-predica nel lungo monologo, intitolato “Guai a voi ricchi” (presentato alla rassegna I teatri del sacro a Lucca, lo scorso settembre) in cui Giovanni Scifoni è autore, attore, regista. Anzi, una scorribanda, in apparenza discontinua – ma non è così, c’è un fil di ferro a sostenere energicamente (ma non si avverte subito) l’intelaiatura del “dramma” – che ha molto di personale, di ricordo, di un passato non tanto lontano, di una esistenza (quella di Scifoni) contrassegnata dalla sete di “giustizia e di verità”. Il suo “guai” perciò è rivolto ad un mondo: tutto il mondo, dei credenti e no, della chiesa e dei laici, delle ideologie antiche e recenti, delle mode e dell’ignoranza. Un mondo quindi che s’è perso, che fa il male” (da qualunque parte venga) e che non sempre sente il bisogno né di perdonare né di esser perdonato. Si adatta invece al compromesso, a quel “cattocomunismo” che se da una parte permette alle coscienze borghesi il tranquillo servire “ a due padroni”, dall’altra ha avuto i suo ideali e i suoi “martiri”, più o meno riconosciuti.
«Dove andare o meglio da dove ritrovare il filo della vita», si chiede alla fine Scifoni, che racconta di un prete cieco e fa scendere davvero il buio in sala (forse il momento più emozionante e vero dello spettacolo), ritraendosi dalla pedana e ponendosi egli stesso in un angolo. Fuor dalla luce, dal proscenio, dagli spettatori, anche lui a brancolare come il nostro tempo. E questo mentre si odono leggere, in un italiano faticoso, le Beatitudini. Difficili da vivere?. «Un poco (per non dire molto)», mormora la voce innocente e incolpevole di una bambina. Eppure, è da qui che forse si deve ripartire. Il fil di ferro di Scifoni è questo. Al pubblico l’entusiasmo (reale) e un certo sconquasso interno (almeno in alcuni). Buona crisi! Ed è quello che Scifoni voleva, no?
Alla Cometa Off, Roma. Fino al 19/2