I giovani, la chiave di volta per l’Italia

Per uscire dalla crisi è necessario puntare sulle nuove generazioni, ascoltando le loro esigenze e proposte e investendo risorse come quelle previste dal Pnrr

Una crisi pandemica, una guerra da effetti mondiali, un cambio di governo inatteso capitato nel bel mezzo di un piano di ripresa per far fronte alle conseguenze economiche e sociali da ciò derivate. Durante le ultime elezioni parlamentari il 37% dei giovani tra i 18 e i 34 anni non si è recato a votare, secondo i dati dell’istituto di ricerca Swg. Un dato che sembrerebbe evidenziare l’indifferenza dei giovani in relazione alla politica, e che coincide quasi esattamente con la tendenza complessiva all’astensionismo della popolazione italiana.

L’esperienza del Covid-19, unita ai fenomeni disastrosi del cambiamento climatico, stanno impattando sulle caratteristiche strutturali e culturali della società, provocando effetti psicologici e relazionali non desiderati e incidendo sui piani di vita dei giovani di oggi, specialmente tra i 25 e i 29 anni, nella transizione verso una totale indipendenza e autonomia. Tuttavia, secondo il Rapporto Giovani 2022 dell’Istituto Giuseppe Toniolo sulla condizione giovanile in Italia, emerge tra la gioventù un’energia positiva verso il futuro, anche se non privo di incertezze. Nonostante tutto, essi stanno mostrando segni di speranza e resilienza, intravedendo delle opportunità in questo momento difficile che stiamo attraversando e cambiando le loro prospettive e priorità sui propri progetti. Da un lato, quindi, si osserva nella generazione dei Millennials una situazione di incertezza affettiva, relazionale e sociale, piani troncati o decisioni importanti rimandate, soprattutto nell’ambito familiare come andare a convivere con il partner, sposarsi o avere un figlio, e una forte instabilità economica dovuta alla difficoltà di trovare un lavoro stabile, ben retribuito e corrispondente al proprio percorso di studi. Dall’altro, si percepisce tra di loro un’apertura ai cambiamenti e una volontà di lavorare per aziende con cui condividano i valori e possano contribuire in maniera attiva alla trasformazione del mondo. Questa motivazione ad essere promotori in prima persona dei cambiamenti li porta ad impegnarsi per uno sviluppo inclusivo e sostenibile, a favore del futuro del pianeta.

Per tutto questo diviene fondamentale valorizzare il capitale umano dei giovani, rafforzare i percorsi formativi e professionali, dare loro spazio per esprimersi e rispondere al loro bisogno di sentirsi effettivamente ascoltati, alimentando il dialogo e la collaborazione intergenerazionale. In questa direzione, i fondi del Pnrr possono essere utilizzati per favorire l’occupazione e la conseguente emancipazione dei giovani, un investimento per la ripresa dell’Italia. Purtroppo, come si constata da vari anni, molti giovani non trovano nel territorio nazionale una soluzione lavorativa attinente alle loro aspettative, capacità e grado di istruzione, per cui scelgono di emigrare e realizzarsi altrove.

La visione più radicata di appartenenza all’Europa e la propensione alla mobilità per migliorare le proprie qualità, formazione o lavoro di quella che è conosciuta come “generazione Erasmus”, favoriscono la crescita e l’arricchimento del capitale umano italiano all’estero. Questa esperienza contribuisce, inoltre, allo sviluppo di tratti caratteriali positivi come una minor sfiducia verso l’incognito, la novità e la diversità. L’aspetto negativo, invece, riguarda il fatto che, come precisato sul rapporto dell’Istituto Toniolo di quest’anno, il 66,2% degli studenti che si sono spostati dal loro paese di origine pensa che non vi tornerà, il noto fenomeno della fuga dei cervelli. Bisogna comunque tener conto che, come dicono i dati dell’Istat (2015), questa mobilità comprende unicamente il 4,7% dei laureati under 35 e non rappresenta la maggioranza del Paese.

Invece, e soprattutto in seguito alla pandemia e alla flessibilità che il lavoro agile ha comportato, numerosi giovani hanno optato per tornare a casa, rimanendo nei loro territori natii per contribuire allo sviluppo di essi. Questo fenomeno avviene in modo particolare nel Mezzogiorno tanto che, a marzo 2020, è nata l’Associazione South Working-Lavorare dal Sud (ASW), i cui membri cercano di implementare progetti e politiche di empowerment e sviluppo nel meridione. In questo modo, i south workers, ovvero giovani del Sud che si sono formati accademicamente o professionalmente in zone del Centro e Nord d’Italia mettono a frutto l’esperienza e le conoscenze acquisite per trasformare e potenziare i territori meridionali da un punto di vista sociale, culturale e infrastrutturale. Un esempio di questo impegno sociale per il territorio è quello di Danilo Lampis, un giovane 29enne proveniente da Ortueri, un paese interno della Sardegna, dove si occupa della lotta contro lo spopolamento e il miglioramento della qualità in sanità. A 15 anni Danilo inizia a far parte dei movimenti studenteschi per passare più avanti a coordinare a livello nazionale l’Unione degli Studenti, l’associazione di studenti più grande d’Italia, che lotta per il cambiamento della società a partire dall’educazione e dalle scuole. Questo l’ha portato a rappresentarla prima a Roma e dopo a Bologna, mettendolo in contatto con tutte le forze sociali. Dopo questo periodo, il giovane è tornato nell’isola, dove partecipa attivamente in politica come amministratore comunale e, insieme ad altri giovani attivisti, si dà da fare per rispondere alle necessità di un territorio impoverito, per ridurne le disuguaglianze e prendersene cura, anche in termini ambientali. Per lui, la sua non è una terra da abbandonare, bensì un’area con enormi potenzialità inespresse che permetterebbero una qualità di vita molto elevata. Tutti temi, questi, emersi nel suo libro Essere giovani non è una scusa (Castelvecchi, 2021).

Questo tornare alle origini favorito dai periodi di lockdown ha portato molti giovani a rientrare nella casa dei genitori, consentendo loro di risparmiare economicamente e di rafforzare i legami familiari. Ma allo stesso tempo si è vista una rivalorizzazione del rapporto con la natura, lo spazio tranquillo e sicuro dove poter respirare ed evitare i contagi. Infatti, la preservazione dell’ambiente e l’ecologia si rivelano tra le priorità delle nuove generazioni. A testimoniarlo ci sono varie realtà, dalle preferenze di voto delle passate elezioni orientate al binomio Sinistra Italiana-Verdi, alle manifestazioni di Fridays For Future ampiamente partecipate. Anche nell’ambito economico si riflette questo coinvolgimento giovanile nella transizione verde, che scommette per un’economia circolare basata sul principio delle 3E: economia, ecologia, equità. Alcuni esempi di questa partecipazione concreta si sono resi evidenti al Festival Nazionale dell’Economia Civile svoltosi a Firenze tra il 16 e il 18 settembre, e all’evento The Economy of Francesco tenutosi ad Assisi dal 22 al 24 settembre. Entrambi gli incontri hanno concentrato giovani imprenditori ed economisti in dialogo per costruire un presente che metta al centro la persona e la Casa comune, e che renda possibile un futuro abitabile e gradevole per tutti.

In Italia i giovani tendono a impegnarsi in azioni di volontariato. Durante la pandemia, poi, ne sono nate di nuove, ibride e virtuali. Foto: Pexels

Un’altra sfera di partecipazione è quella del volontariato, attraverso la quale i giovani si rendono protagonisti attivi nella società. Si tratta di un valore aggiunto, notevole secondo gli indicatori del Rapporto Giovani 2022 durante il periodo di emergenza sanitaria, che aumenta il senso di responsabilità e di appartenenza alla cittadinanza, permettendo di mettersi al servizio della comunità per favorire l’inclusione e la coesione sociale.

In ogni caso, ci sono dei fattori strutturali difettosi che vanno rimediati il prima possibile se si vuole raggiungere una realtà sociale più giusta e in grado di portare avanti il Paese. Certamente, come vedevamo prima, uno dei problemi da superare urgentemente è la disoccupazione giovanile, specialmente per quanto riguarda le donne. L’Italia è la penultima nazione in Europa in tema di parità di genere nella partecipazione economica – meno di una donna su due lavora, anche se paradossalmente sono più istruite degli uomini – e gli effetti della pandemia non hanno fatto che aggravare la situazione, provocando una she-cession (recessione femminile). Oltre agli effetti economici questa esclusione femminile dal mercato del lavoro provoca una frattura nello sviluppo demografico, ritardando la maternità e impedendo la crescita della società. È per questo auspicabile, oltre che doveroso, che si compiano quelle riforme previste dal Pnrr che riconoscono la parità di genere come pilastro trasversale degli interventi da attuare.

Giovani italiani all’estero, emorragia in corso
Di Miriana Dante

“Fuga di cervelli” indica l’espatrio di giovani talenti verso Paesi stranieri. Si tratta di studiosi o lavoratori che cercano di fare carriera al di fuori dell’Italia. Un interscambio a livello internazionale è fisiologico con la globalizzazione, in più incoraggia il progresso e la multiculturalità. Il fenomeno diventa però preoccupante se la percentuale di “menti” in uscita è maggiore di molto rispetto a quella in entrata. Un’immediata ripercussione può essere il rallentamento del progresso culturale, tecnologico ed economico, non a caso si parla di “capitale umano”.

Le motivazioni di questa mobilità sono molte, come la difficoltà nell’ottenere un lavoro, anche solo uno che permetta di rendersi indipendenti. «È triste pensare a tutte le rinunce che la nostra generazione deve fare perché guadagna così poco rispetto a quelle passate. […] A gennaio avrò uno stipendio. Per quanto abbia sognato l’indipendenza economica, ora che è vicina mi fa paura. Mi fa paura perché vorrei tanto vivere da sola, magari mettere dei soldi da parte […]», dichiara una studentessa di 27 anni sul social media di informazione Torcha.

Dati di Eurostat mostrano come l’Italia abbia la media dell’età di uscita di casa di 30,1 anni, quando già la Francia ha una media di 23,6 anni, basta quindi spostarsi di poco all’interno dell’Ue che un ragazzo può cambiare radicalmente il proprio stile di vita. Inoltre, di solito i Paesi che investono sui giovani possiedono anche infrastrutture e servizi che prendono in considerazione a fondo le loro esigenze. Non bisogna però pensare che la scelta di partire sia sempre tra le più semplici. Esplorare il mondo è un grande dono, ma anche costruirsi un futuro nel proprio Paese può essere un desiderio forte in molti giovani.

L’Italia è oggettivamente ricca di bellezze, ammirata per le tradizioni e la cucina: anche un banale piatto di pasta al sugo ben fatto potrebbe far aprire un franchising a livello mondiale. Gli italiani amano il proprio Paese, però può demoralizzare il dislivello tra come si vorrebbe che andassero le cose e come vanno realmente, sebbene l’Italia sia uno Stato avanzato rispetto ad altre realtà del mondo. Viaggiare diventa importante proprio per rendersi conto del valore di quello che si ha, ma quando si è spinti a farlo per crearsi un futuro che non si può avere a casa propria, si prova amarezza. La speranza è che tutti i giovani italiani che lo desiderano possano tornare nel proprio Paese e costruire il futuro che sognano.

Donne, economia e lavoro

È un’alleanza che non si può rimandare, quella dell’inclusione delle donne nel circuito lavorativo e sociale. Nonostante siano quelle più istruite tra i giovani, rappresentano il maggior tasso di disoccupazione. Intervista a Diletta Pasqualotto, una giovane 31enne residente a Padova, dove lavora per il settore estero dell’azienda fondata da suo padre.

Perché è importante dare spazi adeguati alle donne dove possano esprimere il loro massimo potenziale?
L’importanza di dare spazi di rilievo alle donne nella società va al di là del mero concetto di pari opportunità. La donna, l’uomo e le loro straordinarie differenze hanno bisogno di intrecciarsi per garantire una totale efficienza del funzionamento delle varie entità (istituzioni, aziende, famiglie). Nel contesto economico contemporaneo c’è una continua evoluzione dei processi e delle dinamiche; questo richiede uno spirito di adattamento che va oltre la tradizione. La somma di entrambe le prospettive può essere una risorsa importante per formare, unite dalla diversità, le generazioni future.

Che caratteristiche può apportare la presenza femminile in un’azienda?
Gli studi sociologici e di management identificano la leadership femminile con un atteggiamento aperto al dialogo per raggiungere decisioni consensuali, preferendo la partecipazione a un approccio autoritario. Inoltre, indicativamente è orientata verso la persona piuttosto che al solo profitto. A tali caratteristiche si aggiungono altri tratti, spesso stereotipati, quali l’empatia, la cura, l’ascolto e la solidarietà. Aver ben chiare le differenze tra uomo e donna è importante perché a lungo le donne manager hanno assunto dei caratteri maschili per interagire con i colleghi uomini quasi come termine di accettazione, anziché valorizzare e conservare le proprie caratteristiche.

Quali sono i vantaggi socioeconomici di potenziare la parità di genere?
L’inclusione e l’emancipazione femminile non tolgono opportunità agli uomini, bensì portano alla formazione di una società più sana. Secondo vari studi, aggiungere le caratteristiche femminili nell’ambito lavorativo porta la società a un benessere più elevato, con una riduzione del 50% delle probabilità di depressione e un rischio circa il 40% inferiore di morte violenta (Holter, 2014; Górska, 2016). L’inclusione delle donne nelle posizioni decisionali è un alleato fondamentale nella prevenzione e risoluzione pacifica dei conflitti. Se vogliamo la pace, abbiamo bisogno di donne coinvolte nella società. In termini economici, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE, 2017) ha pubblicato i dati secondo cui, entro il 2050, il miglioramento dell’uguaglianza di genere porterebbe a un aumento del Pil pro capite dell’Ue dal 6,1 al 9,6%.

 

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