I giovani, da Siracusa ad Amatrice
120 giovani del Movimento dei Focolari, nella prima metà di agosto si sono ritrovati a costruire, per la terza volta in tre anni, un'esperienza di fraternità e di legalità con i bambini di una delle periferie più drammatiche di Siracusa, dove ci sono scuole fatiscenti e strutture murarie ai limiti del collasso, e dove si respira un senso imponente di abbandono. La mattina questi giovani accompagnavano con progetti educativi i ragazzi del quartiere, che superavano i 130, tra elementari e medie. Il pomeriggio discutevano i temi scelti dagli stessi giovani: pace, legalità, serate cineforum e riflessioni appassionate, fino alle grandi feste nel quartiere. Tutto in uno stile modesto e festoso, per non cancellare la gioia dell’incontro e la serietà dell'esperienza. Con determinazione, per la terza volta, si è costruito un patto per la vita condivisa e per la legalità. Un campus estivo originale, in una bellissima città, piena di cultura ma al tempo stesso piena di ferite, che rischiano di nascondere la stella polare del dialogo, della fraternità, della giustizia, senza la quale ci perdiamo.
Al centro i bambini dei due quartieri Mazzarrona e Acridina, che hanno chiamato questi giovani per percorrere insieme il viaggio verso una comunità e una umanità nuova. Tre anni possono essere un tempo plausibile per realizzare un progetto condiviso e costruito da chi sta nel quartiere e da chi viene nel quartiere; dalle mamme di bambini sempre sorprendenti e dai giovani che accettano la sfida delle periferie. In realtà tre anni sono solo l’inizio di un'amicizia che si nutre di fedeltà, di perseveranza, di dialogo costante, di incontro. Una rappresentanza di giovani provenienti da tutta Italia, i bambini, sempre fragorosi e invasivi, e le loro mamme, sempre pronte a proteggerli, ma anche a riconoscere il lavoro che in questo tempo è stato fatto da questi giovani. Più sullo sfondo, ma non meno presenti i padri di questa ragazzi.
Questi giovani hanno cominciato ad amare la Sicilia partendo dalla periferia, hanno cominciato ad amare la città di Siracusa partendo dai bambini di questi quartieri, dove si respira la violenza dell'esclusione, ma anche la voglia di cambiare attraverso i colori della pace e della speranza, con cui hanno diseganto i cartoni sulle pareti delle loro classi. I muri sbriciolati della scuola di quartiere erano la domanda alla politica, che sembra interessarsi solo dei centri tirati a lucido, dei luoghi del potere e dell'arroganza del potere. Una politica che usa le periferie, ma non le abita. Un campo al cuore dell’estate perché la vita dei figli di questi quartieri degradati non venisse negata e dispersa in una violenza diffusa, che in qualche momento tocca gli stessi ragazzi e li vede protagonisti, ma venisse ricapitolata in una nuova amicizia, nella solidarietà di ogni giorno.
Il 24 agosto il terremoto irrompe ad Amatrice, ad Accumuli, a Pescara del Tronto e nelle frazioni grandi e piccole del centro Italia. Una catastrofe. Sotto i muri sbriciolati quasi trecento morti. In questo frangente l’Italia ha mostrato il suo volto migliore, quello della solidarietà, della condivisione, del prendersi per mano, per abbracciarsi in una catena più forte della morte. Da subito l’impressione che quello che era accaduto appartenesse alla forza profonda della terra, ma anche dall’aver dimenticato la prevenzione, la messa a norma degli edifici pubblici e privati. Due scuole paradossalmente a confronto, quella di Siracusa, ferita dal degrado, quella di Amatrice, ferita dal terremoto. Un terremoto che pone giudizio e domande alla politica. L’una parabola dell’altra. Dunque una grande spinta alla solidarietà, ma anche la consapevolezza da subito delle responsabilità di tutti e di ciascuno.
Nel Vangelo di Luca, all’inizio del cap.13, Gesù così parla: «O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe, e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No. Vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Nella mentalità di allora, un evento tragico veniva collegato alla colpa da chi ne era vittima. Gesù rovescia l’orizzonte: non si guarda alle colpe dell’altro, ma alla nostra conversione. E se la conversione non avviene oggi, è destinata a perire la nostra generazione. Ecco, i giovani che sono andati a Siracusa ci consegnano la parola della conversione. Allo stesso modo questo è fatto dagli italiani solidali, che vogliono stare con il cuore e con la vita accanto alla gente che vive nel terremoto. Non si tratta di scaricare sugli altri le nostre responsabilità, ma di cambiare umilmente le nostre vite.
Convertirsi significa rispettare le leggi, imparandole senza dimenticarle, prevenire i rischi, ascoltare i più piccoli, vivere la politica come servizio a partire dagli ultimi, verificare che le leggi e i controlli siano applicati, ogni giorno, tutti i giorni. Non cercare né potere né potenza, ma la condivisione del dolore di molti, di partire dai piccoli per avere un cuore dilatato e capace di ascoltare il loro dolore e la loro sofferenza. C’è qualcosa allora che unisce i giovani andati a Siracusa, i giovani della tragedia del terremoto e i ragazzi che sull’Appennino, dopo il terremoto, alla fine di settembre riprendono la scuola. Per tutti si pone al centro del loro cuore e della loro vita la parola della conversione, che vale non solo per tre anni, ma vale per sempre e per tutti, in ogni momento della nostra esistenza.
I ragazzi che sono stati a Siracusa e quelli di Siracusa non dimentichino chi vive oggi nel terremoto, trovino la strada per costruire con loro amicizia, legalità, futuro, progetti concreti. I ragazzi del campus (piccoli e grandi) compiano gesti di fraternità, che uniscano i loro territori e il nostro Paese, là dove le ferite sono più profonde. Penso a gemellaggi tra scuole, studenti, giovani, che hanno imparato la via della conversione, che non dimentica l’altro ma lo riconosce come la perla preziosa della sua esistenza.