I giovani che restano alla Majdan
Alla Majdan, la piazza della rivolta dei giovani di Kiev, che continua dal 30 novembre, si continua a tenere duro per evitare che il sacrificio di tanti giovani finisca in un vicolo cieco. La crisi di Crimea brucia, ma la determinazione ancora non vacilla. Può essere utile, per capire la determinazione di questi ragazzi e di queste ragazze, di rileggere qualche intervista fatta nelle scorse settimane in piazza Indipendenza.
Tra le tende
Passeggiando in piazza Indipendenza e conversando con i giovani (e i meno giovani della rivolta) ci si rende conto delle grandi doti di coraggio di questa gente che ha pagato col sangue la “rivoluzione della dignità”, ma anche delle tante ambiguità che hanno contraddistinto e che soprattutto contraddistinguono l’attuale momento d’incertezza. C’è stanchezza negli occhi e nelle membra, c’è chi raccoglie soldi per continuare la permanenza nella piazza, c’è chi lucra sul sangue, sono riapparse le bancarelle tradizionali della piazza, c’è chi se la gode a guardare le ragazze, c’è chi beve. Ma c’è soprattutto un’immensa fierezza nazionale nelle centinaia di migliaia di persone che sfilano in quello che è ormai diventato un “mausoleo della dignità”.
Un giovane che staziona accanto a una cassetta dove si raccolgono soldi per i giovani della Majdan (scorgo biglietti da 100 e 200 grivne, belle sommette), Igor mi racconta qualcosa della sua lunga battaglia: è studente, fa avanti e indietro tra l’università e la piazza, viene dall’Ovest del Paese, ha una gran voglia di vedere sparire dalla faccia dell’Ucraina la gente corrotta e corruttrice. Poco lontano, in una tenda che raggruppa della gente di Kharkiv, fief di Yanukovich, un cinquantenne che pare avvezzo ai lavori pesanti si racconta: «Sono pensionato, ho voluto venir qui per aiutare questi giovani, almeno mi sento utile. Non appartengo a nessun partito, ma sono certamente anti-russo. Sono pagato per star qui? No, assolutamente, ma le offerte arrivano abbondanti, abbiamo di che mantenerci».
In uno dei palazzi più eleganti della Avenue Khreshchatyk, che dà sulla Majdan, in quello che fu il negozio di una nota marca di abbigliamento per giovani, s’è installato il Gruppo di autodifesa della piazza, creatosi sin dai primi giorni della rivolta, il 30 novembre. Il giallo è il colore della rivolta, il giallo è il colore di questo gruppo che trova la sua origine nel partito della Tymoshenko. Computer, telefoni e telefonini, grossi thermos di tè, via vai un po’ frenetico, qualche walkie talkie, manifesti propagandistici dall’iconografia (mi si perdoni) un po’ vetero-sovietica o se vogliamo da Quarto Stato…
Nessuno vuole parlare dei giovani presenti, un po’ più smart di quelli che stanno in piazza, devo aspettare che uno dei portavoce si liberi. Si chiama Yurij Yuzych, ha una trentina d’anni, è sposato con un figlio. Ha studiato informatica. «Il primo gruppo non era ben formato – mi spiega –, avevamo pochi soldi e pochi mezzi, ma c’era un grande fervore. Eravamo sistemati nel Palazzo del sindacato, quello che è stato bruciato nei giorni più violenti della rivolta. Ora siamo un gruppo molto ben affiatato e ben organizzato, che cerca di mantenere l’ordine anche in mancanza di polizia ufficiale, qui non c’è nessun furto e non c’è più nessun delitto. Non vogliamo diventare una milizia armata, ma in attesa che il governo decida cosa fare noi siamo qui per non rovinare la rivoluzione della dignità». Mi spiega che il loro capo è un deputato, AndriyVolodymyrovych Parubiy, del partito della Tymoshenko, che durante la manifestazione aveva la responsabilità dell’organizzazione della difesa della piazza.
«Le nostre decisioni vengono prese democraticamente nel direttivo del gruppo – mi dice convinto –, d’accordo col nostro capo che è stato nominato segretario del Consiglio di sicurezza e di difesa ucraino. Altri due nostri deputati sono entrati nel direttorio dei servizi segreti e della sicurezza interna. Sì, siamo filo-governativi, è il popolo ucraino che ha preso il potere contro colui che non faceva che i suoi interessi, dimenticando il bene comune». Gli cheido cosa pensi dei rapporti tra la sua leader e il Cremlino: «Putin e Julia arriveranno a un accordo, ne sono sicuro – dice convinto –. Bisogna evitare ora di rispondere alle provocazioni russe, per evitare la guerra a tutti i costi. Noi ucraini non siamo capaci di fare la guerra. E non vogliamo separarci: abbiamo notizie dirette dai nostri compagni ad Odessa, Kharkiv, Donetsk… che ci dicono come le rivolte dei filo-russi siano molto limitate, anche se i media occidentali riportano solo quelle rivolte. Ad Odessa, ad esempio, c’è stata una manifestazione in favore della politica del governo, c’erano anche degli ebrei. E pare che i tatari di Crimea stiano pensando di ribellarsi al nuovo potere russo». Gli chiedo perché la Tymoshenko non sia stata applaudita come ci si sarebbe aspettati dalla piazza:«Dividere la piazza non è cosa buona. In realtà è stata molto ben accolta». Qualche ricordo sulle manifestazioni più cruente: «Sono stato in piazza durante tutti questi mesi. Mia moglie è sempre molto più preoccupata di me. Paura? No, non ne ho mai avuta, se non quando nel Palazzo del sindacato ci hanno accerchiato le forze dell’ordine e mi sentivo preso in trappola, due volte hanno cercato di sgombrarci, prima di appiccare il fuoco all’edificio. La notte dei 100 morti ero a casa quando ho avuto una chiamata e sono corso in piazza. Mi sono occupato di evitare che i giovani fossero colpiti dai cecchini». Tra un mese? «Resteremo qui fino alle elezioni del 25 maggio, spero che Julia venga eletta.La sua uscita di prigione ha mischiato le carte. Vitalij Klitschko era il nostro naturale candidato, ma ora chissà…. I sondaggi dicono che Julia vincerebbe».