I giochi di Ravel

Nel teatro della Capitale, dopo oltre mezzo secolo di assenza, torna il grande maestro francese con "L'heure espagnole" e "L'enfant et les sortilèges", dirette da Charles Dutoit
Teatro dell'Opera di Roma

Stasera ultima replica al romano Teatro dell’Opera di due lavori di Maurice Ravel, L’heure  espagnole (1911) e L’enfant et les sortilèges (1925), mancanti da oltre mezzo secolo dal teatro della capitale.

Meno male che ora si è rimediato ad una assenza troppo lunga con uno spettacolo veramente gustoso. Uno dei principali meriti è la concertazione e la direzione di Charles Dutoit, musicista eclettico e serio, dalla bacchetta sensibile e non pesante, sicuro nel gesto morbido, attento ai colori e alle sfumature che in Ravel – maestro dell’orchestrazione, raffinatissima – sono essenziali. Bisogna poi dire che l’allestimento del Glyndebourne Festival è fascinoso e divertente e la regia di Laurent Pelly spiritosa, misurata e in perfetta concordia con la musica.

E veniamo alle due opere. L’heure espagnole è una commedia in un atto ambientata nel negozio dell’orologiaio Torquemada (nome ironico, se si  pensa che apparteneva a un sinistro inquisitore), la cui moglie Conception civetta col giovane poeta Gonzalve, ma è contesa anche dallo spasimante Don Inigo Gomaz, mentre il marito non s’accorge (o finge di non accorgersene) della tresca. Nel bel mezzo arriva il mulattiere Ramiro, tanto forte quanto semplice e Conception, con la scusa di fargli trasportare su e giù gli orologi a pendolo, civetta con i due spasimanti, finendo però per preferire il mulattiere, con buona pace del marito.

Una commedia sapida, con quel pizzico di erotismo molto francese, fatto più di allusioni che di sostanza, ma bastante alla musica per creare atmosfere ora brillanti, ora sospese, e sempre con quel filo d’ironia che resta il fascino di Ravel e della sua deliziosa orchestra, dove le belle voci della compagnia spaziano allegramente e con facilità da un capo all’altro del palcoscenico, affollato di una parete zeppa di orologi di ogni tipo che scandiscono il tempo. Il tempo dell’amore, ovviamente.

Ancora più gustosa, se si può dire, la rappresentazione della fantasie lyrique L’enfant et le sortilèges. È la favola amarognola del bambino cattivo, che si diverte a disobbedire alla madre, a strappare libri, a perseguitare gli animali, finché tutto si anima, si personalizza e lo spaventa, così che il ragazzino terribile fa un piccolo gesto di tenerezza verso uno scoiattolo e la scena cambia e lui ritorna ad essere un “bravo bambino”.

Il mezzo soprano Khatouna Gadelia è il bambino capriccioso e occorre dire che sia come attrice che come cantante è perfetta: voce guizzante, corpo svettante, recitazione  vivace, vola tra gli animali e gli oggetti parlanti – ognuno bravissimo – in un tripudio divertente di mimiche, di melodie e di guizzi umoristici che sono le punte della musica così fresca di Ravel.

L’allestimento favolistico è splendido e commenta da solo la partitura: uno dei momenti migliori è la parete dove son dipinti  pastori e greggi, che si apre e si umanizza, o il duetto dei gatti… Ma c’è solo l’imbarazzo della scelta, perché l’allestimento è centrato, favolistico, ma non sovrabbondante e, come si diceva, va perfettamente d’accordo con il clima musicale in cui ogni sezione dell’orchestra brilla di luce propria ma anche di luce dell’insieme, grazie alla direzione di Dutoit, attentissima a non perdersi in smagliature barocche e grazie ai due cast davvero straordinari. Spettacolo delizioso, da non perdere, che avrebbe meritato un numero maggiore di repliche.

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