I giochi della speranza

Goal, goal, goal!. Giovanni esulta, correndo, mani al cielo, abbracciando compagni ed avversari. Poco gli importa che il goal lo abbia fatto la squadra avversaria. Lo sport, per lui come per gli altri 1.400 ragazzi e ragazze partecipanti agli Special Olympics Europea Youth Games, i giochi dedicati ad atleti con disabilità intellettiva, è festa, amicizia, sorrisi e tanta gioia di vivere. Hanno dai 12 ai 21 anni e sono venuti a Roma, dal 30 settembre al 5 ottobre, da 57 Paesi europei ed eurasiatici per il più grande appuntamento Special Olympics che l’Italia abbia mai ospitato. Li accompagnano 400 dirigenti e tecnici, 3 mila familiari, 2 mila volontari. Per una settimana si sono sfidati giocando a basket, pallavolo, atletica, bocce, bowling, ginnastica, nuoto, e calcio a 7 unificato (insieme con normodotati). Attraverso il linguaggio comune dello sport, attraverso le sfide sportive, che i ragazzi prendono molto sul serio, i giochi mirano a motivare i giovani con e senza disabilità intellettiva a superare le barriere, ad instaurare nuove amicizie ed a permettere la creazione di una società più aperta ed accogliente. Gli Special Olympics sono riconosciuti dal Comitato Olimpico Internazionale, così come dal Comitato Paralimpico, ma si tratta di organizzazioni separate e distinte. Mentre il Comitato Paralimpico opera coerentemente con i criteri dei giochi olimpici, con gare competitive riservate ai migliori, Special Olympics, ovunque nel mondo e ad ogni livello, è un programma educativo, che propone ed organizza allenamenti ed eventi solo per persone con disabilità intellettiva e per ogni livello di abilità. A fondare questo particolare movimento sportivo è stata Eunice Kennedy, sorella del presidente americano che nel 1968 diede il via ai primi giochi internazionali a Chicago, Illinois. Cinque anni prima ella aveva voluto invitare a giocare un gruppo di 35 ragazzi e ragazze con problemi mentali nel parco della sua abitazione nel Maryland. Da allora i programmi di Special Olympics sono stati adottati in 167 Paesi: si calcola che siano oggi quasi 3 milioni i giovani al mondo coinvolti nel progetto (il 3 per cento della popolazione mondiale ha una disabilità intellettiva) ed oltre 1 milione i volontari che hanno collaborato alla riuscita di 16 mila eventi. Il giuramento dell’atleta Special Olympics, recitato da tutti i ragazzi con grande convinzione, non lascia dubbi sulla filosofia del progetto: Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze. La missione è quella di dare a questi giovani l’opportunità di sviluppare le loro qualità fisiche e mentali attraverso la pratica sportiva, occasione di crescita e di dimostrazione di coraggio e di capacità, condividendo risultati, successi ed amicizie. Tutto ciò al fine di perseguire la loro piena integrazione nella società, superando pregiudizi, valorizzando la diversità e promuovendo atteggiamenti positivi verso la disabilità intellettiva intesa come risorsa. A vederli correre, nuotare, giocare è impossibi- le non sentirsi profondamente coinvolti: la gioia esplosiva di Maria, le capriole di Enrico, l’abbraccio di Matteo e Sara sono contagiosi e positivi per tutti. Vedere questi ragazzi sperimentare felici una inattesa autonomia ripaga tante famiglie di anni e anni di sofferenze e sacrifici. Ed apre gli occhi a chi non aveva dimestichezza con questo tipo di situazioni, suscitando una nuova disponibilità verso la disabilità intellettiva. I primi a confessare d’aver fatto una straordinaria esperienza sono infatti i 2 mila volontari che hanno accompagnato i ragazzi in questi giorni, così come i 300 medici volontari impegnati nel primo programma di valutazione e miglioramento dello stato di salute degli atleti Special Olympics ed in un convegno dedicato al benessere fisico ed alla prevenzione. E sono i 41 comuni del Lazio che si sono gemellati con una nazione per ospitare le delegazioni che partecipano all’evento e sostenerle come spettatori nelle gare. E sono i 20 mila studenti delle scuole materne, elementari, medie inferiori e superiori che hanno seguito percorsi didattici finalizzati a far crescere una cultura del rispetto e della valorizzazione delle persone diversamente abili. Uno spazio importante di accoglienza, dialogo, informazione si è dimostrato il Family Center, dedicato alle famiglie. Certo l’iniziativa più d’impatto si è rivelata Adotta un campione, una campagna di raccolta fondi per assicurare la migliore ospitalità agli atleti provenienti dai 57 Paesi partecipanti. Testimonial dell’iniziativa il fantasista del Milan Kakà, protagonista con Matteo, un ragazzo down, di una esilarante intervista. Accanto a Kakà e Matteo altre nove coppie di atleti Special Olympics e campioni dello sport si sono resi protagonisti di un animato e gustoso dibattito pubblico, che ha coinvolto atleti disabili e studenti di Roma, raccontando le loro esperienze e confrontandosi anche su temi impegnativi quali la bellezza della diversità, la voglia di superare insieme le difficoltà e l’adolescenza. All’invito espresso dal sindaco Veltroni, visibilmente orgoglioso di aver contribuito all’evento, a guardare oltre, aprirsi agli altri, non stare troppo a lungo soli con sé stessi hanno dato forza soprattutto i volti raggianti, le grida, gli abbracci affettuosi dei 1.400 atleti Special Olympics che, per una settimana, hanno fatto sorridere Roma.

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