I gatti di Balthus

Con una grande mostra monografica Roma celebra, a quindici anni dalla morte, Balthasar Klossowski de Rola, in arte Balthus, maestro tra i più originali ed enigmatici del Novecento. Circa duecento opere, tra quadri, disegni e fotografie, provenienti dai più importanti musei europei ed americani
bALTHUS

Che strano, tanta gente si ferma davanti ai ritratti, alle ragazzine, agli interni pierfrancescani nei dipinti della stupenda rassegna di Balthus alle romane Scuderie del Quirinale ‒ aperta sino al 31 gennaio (catalogo prezioso dell’Electa) – e non nota i gatti. Nelle tele, ovviamente. Prendete il Gatto allo specchio del 1986-89: la ragazza mostra lo specchio al felino, lui si guarda ed alza la zampa. Soddisfatto? Oppure quello addormentato sotto il letto nella Grande Composizione col corvo o quello dello Studio della Settimana con quattro giovedì che guarda la ragazza ritto sopra la poltrona. È un animale intrigante, osservatore, malizioso e astuto certo, eppure misterioso.

In realtà, il gatto è una “presenza”. Negli interni così essenziali dove le ragazze vibrano di una adolescenza sognante e turbata, ma forse ancora pregna d’innocenza, questa presenza si insinua a dire, con il suo solo stare, la vita dentro una stanza. Il “cielo” dentro di essa? E se cielo, quale cielo?

Balthus è indagatore sottile, sviante, seducente, pieno di sotterfugi. Capace di paesaggi sfumati, di incantevole fascino; di ritratti d’una intensità giottesca (Colette di profilo, 1954); di Nature morte di abbacinante bellezza (1958).

Ma poi è lui che nel 1935 si autoritrae come Il re dei gatti ad immedesimarsi col felino, ad osservare tramite lui l’infanzia che diventa adolescenza, corpi, visioni oniriche, immaginazioni sensuali fin troppo chiare, eppure morbide, accattivanti. Idee più che realtà, fantasmi più che colloqui. Sempre con colori intrisi di luce densa, come nel raffinato Il sogno del 1957dentro un ambiente di tinte e luci soffuse.

Questa contemplazione della bellezza giovanile quasi ossessiva, tanta attenzione al sogno come culla dell’evasione, gli suggerisce forme calde, pose statuarie, di una eleganza “frenata”, quasi masaccesca o pierfrancescana come nella celebre La Chambre del ‘54.

Quale il vero sguardo di Balthus che giunge al tremendo Gatto del Mediterraneo del’49,  mostro felino aggressivo entro una visione surreale tra pesci, arcobaleno, onde ed una ragazzina in una barca?.

L’artista che sfugge al nostro pensiero, che si nasconde dietro ai gatti, che cela una ipersensibilità dai mille risvolti non sempre luminosi, è fragile in realtà come le adolescenti che ritrae, preda di sogni o di un sonno in cui vorrebbe immergersi per “dimenticare”. Che cosa? La vita, l’amore, la guerra, la solitudine? Mistero. A quindici anni dalla morte, la mostra cerca di rivelarlo.

Sarà una esperienza diversa per ciascun osservatore. Ad ognuno Balthus dirà qualcosa di sé. A chi scrive ha detto forse il fascino dello struggimento interiore, la voglia di recuperare l’armonia perduta, una insopprimibile necessità di tenerezza, di intimità nascosta.

Non sono forse teneri ed ombrosi anche i suoi colori e la sua luce?

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