I fuochi di Andrea Renzi per Majakovskij

Il lavoro su parola, corpo e movimento, trova in Renzi un'unitarietà profonda tra la persona fisica del poeta russo e la sua poesia
Renzi

Ripreso di tanto in tanto, e ancora oggi, nel frattempo sono trascorsi vent’anni dal debutto del monologo di Andrea Renzi Fuochi a mare per Vladimir Majakovskij. Quello stesso anno, il 1993, morì prematuramente Antonio Neiwiller, compagno di lavoro di Renzi e di un manipolo di attori e registi appassionati – fra cui Toni Servillo e Mario Martone –, raggruppati in quei Teatri Uniti che tutti conosciamo.

Dell’amico scomparso Renzi ricorda un insegnamento «…quello di mantenersi aperti verso “ciò che il teatro non è ma che il teatro alimenta”». E la poesia del poeta russo è stata pane per l’attore napoletano. Il lavoro sulla parola, sul corpo e sul movimento, trovano in Renzi un'unitarietà profonda tra la persona fisica di Majakovskij e la sua poesia. Ed è il vigore della sua voce, nei timbri, nelle sfumature e nei toni, a dare forma e sostanza alle parole – mai retoriche –, facendosi megafono della smisurata, tenera e trascinante vitalità del poeta.

In camicia bianca con bretelle e pantaloni scuri, illuminato poi dentro una porta di luce, quindi con dietro un fondale trapunto di poche stelle che s’infiamma di rosso, a Renzi bastano un tavolinetto bianco e una pistola per evocare l’immaginaria conferenza cosmica e pirotecnica i cui versi sono tratti prevalentemente dal poema del 1915 La nuvola in calzoni. Composto da un Majakovskij poco più che ventenne, in lui sovrabbonda, con arditezza compositiva, una forza lirica tesa e appassionata che vuole essere dissacrante e antiborghese nella carica utopica e dirompente di una visione rinnovata della realtà, dei sentimenti, dell'idea stessa dell’arte e della letteratura.

L'eroe del poema cerca disperatamente l'amore di una donna, l'amore tra gli uomini della Terra, l’amore universale tra l’uomo e il cosmo. Vagheggia di vedere cancellata la sofferenza dei reietti e degli oppressi; esalta la rivolta contro una società ingiusta e violenta, il tumulto popolare. Ma non trova che il rifiuto, la desolazione, il silenzio dell'universo e quello di Dio col quale ingaggia una lotta.

Renzi usa tutti i suoi mezzi, le sue qualità: dalla mimica facciale figurativamente espressiva come una maschera continuamente cangiante; ad una gestualità piena, dinamica, veloce, pirotecnica,. Come nel finale col rumore dei fuochi d’artificio sparati, a celebrare una giovinezza piena d’amore, di illusioni, e di passione, ma votata ad una fine tragica. Quella del suicidio. Renzi s’investe pienamente del carico emotivo, delle tensioni, della disperazione che bruciano nell’anima di Vladimir Majakovskij. Lo avvicina a noi, al nostro tempo bisognoso ancora di utopie. Di sogni. Di amore. Quello che, dirà in seguito, sia «il cuore di tutte le cose».

Al Teatro Argot di Roma, fino all’1 dicembre, nell’ambito della rassegna “Prove di volo”.

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