I Focolari in un Paese in guerra
Una testimonianza di accoglienza e fraternità da questo Paese che si appresta con difficoltà ad uscire dalla guerra. Da Focolare.org
Le ultime notizie sulla Costa d’Avorio provenienti da fonti ufficiali internazionali parlano del capo di stato uscente, Laurent Gbagbo (nella foto insieme alla moglie, circondato dalle guardie), ormai in mano all’Onu, e del suo sfidante alle elezioni di cinque mesi fa, Alassane Ouattara, pronto a prendere il potere. Anche il presidente degli Stati Uniti Obama ha fatto sentire la sua voce, chiedendo la fine degli scontri che per settimane hanno lacerato questo Stato africano. Una situazione difficile, dove notizie vere si mescolano alla propaganda. Per questo motivo, diventa ancora più interessante parlare con chi, in questo Paese martoriato, vive e lavora. Nonostante tutto. Il sito Focolare.org ripropone un’intervista realizzata da Radio Vaticana a Vitoria Franciscati responsabile della situata nei pressi di Man.
L’emergenza umanitaria generata dal conflitto in Costa d’Avorio, con la presenza di migliaia di profughi e sfollati, vede impegnate nel Paese diverse organizzazioni non governative internazionali che, insieme alla Chiesa locale, si adoperano per offrire, a quanti più possibile, rifugio e assistenza. Nei pressi di Man, a 600 km ad ovest della capitale, sorge una cittadella del Movimento dei Focolari che vuol essere testimonianza stabile di una vita improntata all’amore evangelico e alla fratellanza. In che modo i suoi abitanti sono coinvolti in questo momento nella difficile situazione del Paese?
Adriana Masotti lo ha chiesto a Vitoria Franciscati, responsabile della cittadella, da 20 anni in Costa d’Avorio.
«Siamo coinvolti in modo abbastanza diretto: attualmente Man è diventata una città di accoglienza, perché c’è un fronte ad 80 km da qui, sempre ad Ovest, dove la situazione non è semplice e da dove vengono e son venuti tanti e tanti rifugiati. Vengono, però, anche da giù, dalla capitale: da Abidjan. E noi siamo coinvolti, insieme a tutte le altre forze della diocesi, della città, ad accogliere il più possibile questi rifugiati. Nella Cittadella abbiamo un dispensario, un ambulatorio medico e un centro di lotta alla malnutrizione. E’ aumentato molto il numero degli ammalati e dei bambini lasciati abbandonati molto piccoli, a volte con un nonno o una nonna che non sanno come fare. Quindi, tutto questo lavoro è davvero moltiplicato e va avanti. Siamo anche un punto di riferimento per gli organismi umanitari, che arrivano per lavorare nella regione contro la fame: Medici senza frontiere, Croce Rossa e così via. Nella città manca l’acqua e vengono quindi a prenderla nel nostro pozzo. Spesso manca la corrente e noi abbiamo un generatore che funziona per qualche ora della giornata e che mettiamo a disposizione. C’è, dunque, tanta collaborazione con tutti».
Voi siete lontani dalla capitale, ma ci sono alcuni appartenenti alla comunità dei Focolari che vivono proprio ad Abidjan e vicino alla residenza stessa di Gbagbo, che in questo momento, è presa in questi scontri. Qual è la loro esperienza in questi giorni?
«Laggiù abbiamo dei nostri in tutti i quartieri della città, ma più precisamente nel quartiere accanto alla casa del presidente uscente. Siamo in contatto con loro più volte al giorno e sono decisi e veramente impegnati a vivere e diffondere la vita del Vangelo, ad essere costruttori di pace attraverso la vita dell’amore, perché è l’unica forza capace di disarmare i cuori, che è la cosa più difficile e la cosa più necessaria».
Nel Paese si sono formati due blocchi contrapposti, una contrapposizione che c’è anche nelle stesse famiglie. Come vivono questa divisione?
«Certo, è proprio lì il punto: cominciare da casa, in famiglia. Alcuni ragazzi dicono: “Io non conosco più mio padre, non lo riconosco”, perché la divisione entra, è qualcosa che penetra profondamente. Prima non era così. Gli ivoriani, però, sono anche molto sensibili e sono pronti a cambiare e non sono poi così duri. Quindi, bisogna credere nella loro capacità, essendo un popolo capace di accoglienza, abituato alla convivenza etnica e tra le religioni. Non ci sono mai stati problemi!».
«Certo, è proprio lì il punto: cominciare da casa, in famiglia. Alcuni ragazzi dicono: “Io non conosco più mio padre, non lo riconosco”, perché la divisione entra, è qualcosa che penetra profondamente. Prima non era così. Gli ivoriani, però, sono anche molto sensibili e sono pronti a cambiare e non sono poi così duri. Quindi, bisogna credere nella loro capacità, essendo un popolo capace di accoglienza, abituato alla convivenza etnica e tra le religioni. Non ci sono mai stati problemi!».
Allora, qual è il contributo principale che voi sentite di voler dare e vi impegnate a dare alla società ivoriana?
«Proprio quello della fraternità. La “regola d’oro”: fare agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi. È il contributo specifico».
«Proprio quello della fraternità. La “regola d’oro”: fare agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi. È il contributo specifico».
Che si concretizza nel quotidiano, cercando ognuno di vivere l’amore verso l’altro, anche se diverso…
«Sì, proprio così nell’accogliere l’altro che è diverso da me, che pensa diversamente da me. Ed io credo che verranno fuori, dovranno venire fuori, sistemi politici dalle culture, dalle radici culturali africane. È però molto importante la preghiera, in questo momento, perché ora i cuori sono diventati duri e allora ci vuole proprio una grazia di Dio».
«Sì, proprio così nell’accogliere l’altro che è diverso da me, che pensa diversamente da me. Ed io credo che verranno fuori, dovranno venire fuori, sistemi politici dalle culture, dalle radici culturali africane. È però molto importante la preghiera, in questo momento, perché ora i cuori sono diventati duri e allora ci vuole proprio una grazia di Dio».
Fonte: Radio Vaticana – Radio Giornale del 10/04/2011