I fischietti di Grottaglie
«… e solo quando li ho donati sono diventati veramente miei…». «A cosa ti riferisci?», si meraviglia Maurizio davanti all’oscurità del mio discorso. «A due graziosissimi fischietti di ceramica colorata, uno a forma di maialino, l’altro di tartaruga. Ci tenevo forse troppo, mi ricordavano una gita fatta con mia madre alcuni decenni fa a Grottaglie…». A questo punto ho dovuto raccontare al mio amico quella lontana visita al centro pugliese famoso per il suo artigianato di ceramiche: una tradizione che risale a diversi secoli fa (addirittura all’epoca della dominazione araba), grazie alle cave di argilla rossa di cui è ricco il territorio. Fu appunto in quella occasione che come souvenir ci portammo via i due fischietti, per anni rimasti in bella mostra su una mensola del soggiorno, finché…
Città delle ceramiche, come dicevo, ma anche dell’uva, a motivo dei suoi rinomati vigneti, Grottaglie è uno dei più popolosi comuni del Salento, al centro delle province di Taranto e Brindisi. Adagiata sul pendio di Monte Samuele Pezzuto, all’estremità meridionale della “Murgia dei trulli”, deve il proprio nome all’abbondanza nel territorio di gravine, sorta di canyon scavati dalle acque meteoriche nella roccia calcarea, coi fianchi bucherellati da grotte utilizzate fin dal Paleolitico come insediamenti umani. Specie nel Medioevo, all’epoca delle invasioni di goti e saraceni, vi trovarono rifugio gli abitanti delle città e dei villaggi distrutti o minacciati; gli stessi esuli provvidero poi a dar vita, con le relative scale, sentieri e opere di canalizzazione e deflusso delle acque, a casali fortificati dai quali avrebbero preso origine Grottaglie e il vicino comune di Villa Castelli.
Tra i nuovi arrivati, anche gruppi di ebrei sfuggiti dall’eccidio e dall’incendio della loro città, Oria, nel 977. Ne ricorda la presenza, nella gravina che attraversa il Monte Fellone, la chiesa rupestre del VI secolo dedicata agli apostoli Pietro e Paolo, successivamente nota come San Pietro dei Giudei.
Non solo: molte grotte del territorio di Grottaglie, oggi per lo più in abbandono quando non sono adibite a usi agricoli o a ricovero di animali, ospitarono in epoca bizantina monaci e asceti basiliani. Come nella gravina di Riggio, dove alcune di esse conservano ancora resti di affreschi di notevole qualità, sia pure in stato deplorevole.
Un vero gioiello è il centro storico di Grottaglie, completamente scavato nel tufo. Purtroppo nella gita di cui parlo, dato il poco tempo a disposizione, dovemmo tralasciare il Castello Episcopio con l’annesso Museo della ceramica, come pure le bellissime chiese e i palazzi monumentali. Non mancammo invece di visitarne il cuore, il suggestivo quartiere delle ceramiche, luogo di residenza e lavoro di un fiorente artigianato artistico fin dal XVIII secolo, nel quale tuttora si concentrano diverse botteghe eredi di questa tradizione. E lì mia madre ed io avremmo avuto bisogno di più paia di occhi per ammirare l’incredibile varietà, originalità e bellezza dei manufatti esposti, tutti o quasi nel più puro stile grottagliese, che privilegia come colori il manganese, l’ocra, il blu cobalto e il verde marcio.
Nel nostro bagaglio c’era posto solo per oggetti di piccole dimensioni: di qui la scelta del maialino e della tartaruga, che a lungo mi avrebbero ricordato Grottaglie e le sue cavità, per secoli luoghi di asilo e di contemplazione. M’ero affezionato a quei fischietti dai suoni acuti, i cui prototipi deliziavano i bambini delle colonie magno-greche. Eppure, come dicevo a Maurizio, «solo quando li ho donati sono diventati veramente miei».