I filosofi vivi in me
Cerco quel qualcosa di sé, della loro esistenza, che hanno portato un dono a me e all'umanità.
Una volta intrapresa la ricerca filosofica, è emersa evidente per me la necessità di rivolgermi a tutti quei pensatori che, nel passato remoto e recente, hanno segnato il cammino filosofico dell’umanità, e interpellarli sulle loro scoperte che suppongo mi siano di luce per quanto io stesso vado cercando.
In realtà, di lì a breve mi accorgo che le soluzioni che essi mi offrono non rispondono a quanto domando. Eppure continuo a ritornare da loro.
Perché accade questo?
Penso perché io vado da loro non tanto a cercare risposte, ma a cercar loro stessi. Cerco cioè non tanto ciò che costituiva per loro risposta, e che trovo per lo più consegnato nei loro scritti, ma ciò che loro stessi erano, l’anima profonda del loro domandare, quella intuizione, quel qualcosa di sé e della loro esistenza che hanno portato, come in loro dono, all’umanità.
Quando entro in contatto con i filosofi a questo livello, accade sempre qualcosa che mi sorprende: la lettura si tramuta in incontro personale; scopro la coincidenza tra il loro pensare e sentire con il mio, anche se ci distanziano innumerevoli secoli.
Penso, ad esempio, alla straordinaria sintonia che avverto con la figura di Socrate, così come Platone ce la tramanda, ricca di umanità piena e profonda. Platone è lì ad indicarmi, proprio in quella figura, ciò che io vorrei essere, ciò che dentro di me sento di dover essere e che in lui trovo realizzato.
Ma potrei moltiplicare gli esempi.
Qui mi limito a ricordarne alcuni, particolarmente significativi per la consonanza profonda fra quell’espressione dell’essere che essi mi porgono e ciò che io sento e che è già dentro di me. Kant, con la sua rivalutazione della ragione come positiva fonte critica, correttiva di un dogmatismo cieco; Hegel, con la sua visione unitaria e dialettica di tutto l’universo e di tutto il pensare, che dinamicizza e rende viva la concezione dell’essere e, di seguito a lui, gli stessi Engels, Marx, per quanto non condivida determinati aspetti del loro pensiero. E poi i filosofi esistenzialisti, con la loro stupefacente e talora ardita percezione dell’esistenza e del nulla.
E lo sguardo potrebbe allargarsi ancora, fino ad abbracciare poeti e storici che, già in età antica, hanno propugnato visioni del mondo sorrette dagli ideali più alti, dalle virtù più eccelse, di cui, anch’io, con loro, anelo di vedere intessuta la vicenda umana.
Tutti io ritrovo dentro di me, perché quel tanto di vero che essi esprimono è quel tanto che io stesso sento, quel tanto che è già mio. È per questo che li sento miei, come parte della mia interiorità profonda.
In realtà, non so come siano così giunti sino a me, ancor prima che io li conoscessi attraverso i loro scritti. So però che essi hanno scoperto la verità e che questa verità si è trasmessa, talvolta misteriosamente, attraverso i canali più vari – i libri, la musica, l’arte, le narrazioni, le tradizioni, le conversazioni – e mi ha raggiunto, facendomi riscoprire ciò che già conoscevo, ciò che già possedevo.
Ritrovo in me la verità.
Si staglia allora davanti ai miei occhi l’immagine dell’umanità, simile ad un fiume che, nel suo cammino, convoglia il vero e lo trasmette nel tempo attraverso le mille forme possibili all’esistenza umana. Ma è la verità che procede, come in un farsi strada per conto proprio, ed è la verità scoperta da qualcuno che io scorgo non tanto nelle elaborazioni concettuali del suo pensiero quanto nei tratti del suo esistere.
In altri termini, è la posizione esistenziale da lui assunta nella ricerca che fa emergere una data verità, ed è questa verità esistenzialmente posseduta che viene esistenzialmente tramandata. Ovviamente questa trasmissione può avvenire anche in forma scritta – sia essa filosofica o poetica o altra –, dal momento che anch’essa fa parte dell’esistenza umana, sebbene l’esistenza, nella sua interezza, non si esaurisca in essa.
In tale ottica, lo studio del pensiero filosofico si rivela come lo strumento attraverso il quale acquista evidenza in me ciò che io penso, ciò che io sono.
Questo, infatti, mi veicolano gli scritti dei filosofi: quell’anima della verità che è già profondamente mia. Studiare diventa allora sinonimo di entrare in questo rapporto che si instaura fra loro, che mi porgono una data verità, e me, che già tale verità possiedo.
È così che, entrando in relazione con loro, li ritrovo, a un tempo, fuori di me e dentro di me.
In realtà, se fossero solo fuori di me, non mi parlerebbero, mentre invece, essendo dentro di me, mi dicono qualcosa, anzi, sono a me necessari, proprio per far sì che la verità, che già possiedo, si innalzi in me ad un livello cosciente.
Se, infatti, ciò può avvenire grazie alla mia personale capacità di riflessione, è anche vero che, nella storia del pensiero, trovo, come dicevo, consonanze straordinarie, che altro non sono se non il convergere in me di acquisizioni filosofiche altrui che io porto ad espressione in me stesso.
Ho dunque bisogno di conoscere gli altri per conoscere me.
In tal senso, viene ad instaurarsi una identificazione fra la filosofia e la storia della filosofia, fra la filosofia come storia e ciò che io penso, per quel tanto di verità che di questa storia ritrovo in me.
Questa è la mia filosofia, è la storia della filosofia che si riversa in me. Non quindi una onnicomprensiva identificazione, di stampo hegeliano, del pensare umano con me stesso, ma il coincidere della verità che abita in me con quel tanto di verità che, dal di fuori di me, mi raggiunge.
Non tutto, infatti, in questa storia, è verità; ma l’errore – riprendendo l’immagine proposta – rimane ai margini del fiume; lì si deposita, senza essere più trasportato oltre. Quei «sassi», quei «detriti», prodotti di qualche dottrina filosofica, il fiume non li porta a me.
I filosofi del passato, dunque, esistono per me nella misura in cui ritrovo in me tutta quella verità che essi hanno espressa: è l’assoluto che li rende vivi. Il resto – quanto vi è in essi di erroneo o di caduco – è già stato depurato, annientato.