I film della settimana

Ancora un ricco carnet, come ogni weekend ormai nella stagione primaverile
Diaz - film

Se Furia dei Titani resiste con incassi record, doppiando il flop del prequel, val la pena recuperare Pollo alle prugne, già dato alla mostra veneziana, deliziosa commedia orientale.
 
Da non perdere invece è Diaz di Daniele Vicari. Questo regista indagatore, che nasce come documentarista e nulla fa senza appunto aver studiato i documenti – nel caso, gli atti dei due processi – questa volta mette il naso, cioè la cinepresa, nei fatti del G8 a Genova, alla scuola Diaz.
 
Con coraggio, bisogna dirlo, perché in una Italia che tende a dimenticare tutto, specie ciò che scotta, ce ne vuole di fegato per mostrare come il demone della violenza, la civiltà della violenza, sia in primo luogo dentro di noi per poi trasmettersi al corpo sociale. I poliziotti che violentano, percuotono, colpevoli e innocenti, giovani e un malcapitato anziano, sbalordito da tanta durezza, che torturano umiliando le donne, non appartengono a una fiction americana. Sono educati a questo. «I miei uomini non li riesco più a tenere», urla il povero capitano Claudio Santamaria.
 
Il film, polifonia notturna disturbante per la violenza esibita – e a quanto pare inferiore alla realtà – è forte, tremendo. Vero, Vicari non è partitico o ideologico, è un ricercatore della verità, quella che ancor oggi non si trova, perché non si  vuole (chi non lo vuole?). Oltre le proteste e gli accanimenti mediatici della solita Italietta che non vuol pensare, il silenzio è ciò che resta dopo aver visto questo film, dove rumore, grida e anche mutismi sanno di tragedia greca.
 
Ci sono momenti angoscianti, appena calmati da qualche intermezzo, come la storia d’amore tra due giovani. Le responsabilità politiche e militari Vicari le cerca, le documenta con freddezza.
 
Il film può piacere, far indignare, c’è chi lo ha trovato eccessivo. Vicari ha cercato un foro nella rete metallica del silenzio omertoso, anche di chi c’era e sapeva. L’ha trovato? Il sentimento più doloroso è la constatazione delle reazioni giovanili: da una parte e dall’altra la tentazione dello scontro, la voglia della distruzione è lampante.
 
Così, oltre che documento impressionante su ciò che ci è stato nascosto, il film è anche parabola di una generazione adulta, passata e presente, incapace di eticità e di educazione al rispetto. Vicari, come Giordana nel suo Romanzo di una strage, lo denuncia senza dirlo e dà l’esempio di un cinema – saldo, ben costruito e recitato – che si desidererebbe trovare molto più spesso. Se si volesse.
 

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