I due Franceschi: malesseri allo specchio

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Francesco Tricarico è sempre stato un caso a sé. Troppo bizzarro per allinearsi alle logiche dell’industria canzonettara, troppo lunare per incasellarsi in uno qualunque dei cliché del nostro cantautorato, troppo cocciutamente out per piacere ai supermercati della musica.Ma si sa, arrivare a Sanremo scardinandone i presupposti e le logiche può spesso essere l’unico modo per uscirne vivi e magari anche più forti. Era successo al primo Vasco, poi a Zucchero, più di recente a Silvestri e a Cammariere. Stavolta è toccato a lui, ed ora resta solo da scoprire se, quanto, e soprattutto come, saprà sfruttare la ribalta. Le strade sono sostanzialmente due: usare l’effetto sorpresa per emanciparsi da prodotto di nicchia a prodotto di tendenza (semplicemente levigando qualche spigolo), oppure giocare al rialzo continuando a spiazzare mandanti e consumatori (insistendo cioè nel seguire soltanto il proprio istinto). In fondo è lo stesso bivio che, sia pure in termini meno estremi e decisivi, hanno davanti i promettenti Frank Head o i La Scelta. Ascoltando Il giglio, il suo ultimo album pubblicato ovviamente in concomitanza con la sua apparizione all’Ariston, qualche deduzione la si può già ricavare. Innanzi tutto che la sua è strampalaggine molto più di forma che di sostanza. Le sue canzoni sono sì tremendamente naïf, ma sanno anche veicolare valori e concetti profondi; idee ed emozioni capaci di trascendere perfino la sua traballante vocalità (da Battisti costipato), la sua ritrosia mediatica, e quel suo temperamento da perdente in perenne fuorigioco. Perché i suoi malesseri e le sue ingenuità sono in fondo anche le nostre, le stesse di chi fa sempre più fatica a trovare una propria formula di galleggiamento sulle infinite derive dell’oggi. sanremese, Francesco di Gesù in arte Frankie Hi- Nrg, appartiene anche lui ad una razza a sé. Un rapper duro e puro, probabilmente il migliore fra i nostri. Sul palco dell’Ariston sembrava anche lui un Basquiat appeso in un salotto rococò, sebbene all’ultimo festival lui ci sia arrivato forte di una popolarità ben più robusta. E tuttavia, fors’anche perché non supportato dall’effetto sorpresa, non ha lasciato il segno che avrebbe potuto. Il suo limite, così come quello del suo nuovo album De Primo Maggio, è forse quello di essere un po’ troppo prevedibile, così come prevedibili – ed assai ristretti – sono gli spazi espressivi del rap. Certo, il nostro è sempre dotato di penna lucidissima e biforcuta, ancora sa diffondere con coraggio i verbi sempre più necessari dell’indignazione. Ma spiazzando di rado. Dice cose generalmente condivisibili, maneggiando temi spinosi con sapienza e mestiere, ma senza la furia creativa del passato. Da uno del suo rango, insomma, era forse lecito attendersi qualcosa di più di un caustico campionario di rime, sia pure pieno di idee, di spunti e di concetti stimolanti. Strade, storie, strategie ed opere diverse. Ciò che le accomuna, e che ce le rende comunque care, è il fatto che entrambe sono degli specchi, che riflettendoci, ci aiutano a riflettere: su ciò che siamo, e ciò che potremmo diventare. CD Novità Newton Faulkner Hand built by robots (Sony-Bmg) Supportato da una tecnica chitarristica di primordine ed assai originale, il giovane britannico è uscito dalle nicchie con questo disco caratterizzato da un minimalismo acustico non lontano da quello di un Jack Johnson, guarda caso un surfer come lui. Grazia ed essenzialità per un prodotto moderno ma agganciato alla tradizione del cantautorato anglostatunitense. Second grace Second Grace (Edel) Il quartetto palermitano è il nome di punta del movimento nu-acustic italiano. In questo splendido album frullano reminescenze sixties ai crepularismi cari a band come i King of Convenience. Bravissimi! f.c.

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