I due crocifissi di Michelangelo

Il Museo del Duomo di Napoli ospita fino al 31 gennaio due crocifissi lignei attribuiti all'artista toscano. Una perfezione tecnica ed anatomica, accompagnata dalla dolcezza, da inserire nel cammino verso la Pietà vaticana.
crocifisso

Napoli, al Museo del Duomo, ospita fino al 31 gennaio una rassegna singolare. Non uno, ma due crocifissi lignei attribuiti all’artista toscano. Il primo, ormai noto perché riscoperto nel 1962 nella sagrestia della chiesa fiorentina di Santo Spirito, è quasi unanimemente assegnato allo scultore.

Alto 163 cm, in legno di tiglio, dipinto a colori oleosi sottili e con una tinta calda che rende bene la superficie della pelle, era posto molto in alto, cosa che giustifica una certa sproporzione che si avverte oggi tra le membra a distanza ravvicinata: le gambe troppo lunghe e sottili e la testa ampia.

L’opera risale al 1492-93, ed è frutto degli studi anatomici che il giovane Michelangelo effettuava di nascosto, col consenso del priore della chiesa, sui cadaveri per scoprire la struttura del corpo umano. Il crocifisso non ha nulla del plasticismo muscolare delle opere successive dell’artista: è molto dolce, il linea con la predicazione del Savonarola che si soffermava sull’aspetto “candido” del Cristo, delicatissimo nella espressione del volto. E’ un Cristo quasi adolescente, che ricorda la scultura di Benedetto da Majano, uno dei maestri di Michelangelo.

 

Il secondo Crocifisso è invece al centro di forti polemiche. Acquistato da qualche mese da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali non trova tutti gli studiosi concordi sull’attribuzione al Buonarroti. Le riserve, oltre che per motivi storico-stilistici, forse dipendono anche dalla facilità con cui oggi, per ragioni di puro mercato, troppo spesso si attribuiscono opere a grandi nomi: i casi di tele descritte come autografi di Caravaggio (un mare!) o di Giorgione (il famoso Tramonto di Londra che, solo da poco, è sceso ad opera della “cerchia di Giorgione”) sono una piccola parte nota di quanto succede nel sottobosco dei mercanti d’arte. Comunque sia, la piccola scultura fiorentina (cm. 41,3 x 41, 3) dalle proporzioni perfette, in legno di tiglio policromato, presenta un corpo saldo, una muscolatura accentuata anche se non eccessiva ed una evidente rassomiglianza, nel volto, con il Cristo della Pietà vaticana. È anch’essa espressione della fase “savonaroliana” di Michelangelo, e riprende, con un vera intensità spirituale, l’attimo in cui il Messia “rese lo spirito” (Gv, 19,30).

 

Certamente, desta stupore il fatto che nel giro di una cinquantina d’anni siano stati trovati addirittura due crocifissi lignei attribuibili al Buonarroti, che si sapeva solo scultore in marmo e bronzo. Eppure i due Cristi manifestano quella perfezione tecnica ed anatomica e quella ricerca spirituale che sono tipiche del toscano, di cui sappiamo, dai biografi, che nella giovinezza fece molte opere per la devozione privata.

 

La visione ravvicinata dei due crocifissi permette una valutazione più serena che di fronte ad un’opera unica, anche per la collocazione appropriata nella parte alta del Museo, e nel silenzio.

Si ha davvero l’impressione, se non la certezza, che queste opere lignee non possano essere che del giovane Michelangelo, tanto sono rifinite, col tipico perfezionismo tecnico e formale dell’artista e nello tesso tempo cariche di dolcezza: da inserire nel cammino verso la Pietà vaticana.

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