I dolori della famiglia secondo Costanzo

La solitudine dei numeri primi ha diviso Venezia. Un film non facile, ne immediato che richiede allo spettatore l'impegno di entrare in esistenze problematiche e non risolte.
Solitudine dei numeri primi film
Saverio Costanzo ha presentato La solitudine dei numeri primi, ispirato dal best-seller di Paolo Giordano. Fischi, purtroppo, in sala e commenti che dividono la platea di Venezia. Il film non è facile, narrato com’è sul versante di uno psicodramma con venature horror.

 

I due personaggi,  Mattia ( un bravo Luca Marinelli) e Alice (magrissima, per esigenze di copione, Alba Rohrwacher) sono due giovani che hanno alle spalle esperienze traumatiche e famiglie oppressive, insomma situazioni psicologicamene ed emotivamente irrisolte. Sono due solitudini, due mondi senza reali contatti umani in cui un dolore nell’età delicatissima dell’infanzia  ha prodotto un’adolescenza difficile ed una giovinezza senza pace. Questa  sofferenza li ha fatti incontrare, comunicare e poi separarsi per ritrovarsi dopo alcuni anni, diversi nel corpo (lei magra, lui ingrassato), ma non nella voglia di una possibilità di amore, di un riscatto che dia sfogo alla pena dei due.

 

Come negli altri precedenti film, Costanzo affronta la trama del dolore, questa volta in famiglia, e si sente, trasfigurata, anche una sua esperienza personale, forse non del tutto ancora pienamente illuminata. Ancora una volta, Costanzo chiude in ambienti che possono impaurire i suoi personaggi, dà colore e forma visiva a sogni inconfessati e a ricordi traumatici in un film che man mano si fa lentissimo, silenzioso, vuoto di parole, ma non di emozioni o di sentimenti.

 

Pioggia,nebbia, nevi fin troppo bianche in montagne che nulla hanno di poetico compaiono nelle diverse scene legate fra loro dal filo del dolore che li consuma e forse si risolve ricordandolo, affrontandolo e cercando di comunicarlo, forse nella difficile carezza con cui i due, alla fine, sulla panchina si incontrano.Sarà una storia d’amore? Costanzo lascia la nebbia del dubbio.

Certo, questo film scabro, in cui i personaggi di contorno (la madre iperprotettiva di Mattia, un’invecchiata bene Isabella Rossellini) arrivano e spariscono come figurine che fanno da cornice  al dramma delle due vite, è duro. Metaforico e simbolico nelle scene pseudo- horror e nelle musiche ansiose, rapido nei salti temporali dall’infanzia alla adolescenza ,alla giovinezza, sulfureo nel presentare il "contorno" degli adulti,  ha bisogno di esser rivisto per non venire sottovalutato, perchè lo stile volutamente freddo  del racconto rischia di bloccare lo spettatore.  A lui è richiesto, come sempre, davanti a questa riflessione sul dolore dei giovani e sulla diffcoltà dell’amore nel cerchio ristretto della famiglia borghese, un supplemento di ascolto. Cosa difficile oggi, ma imprescindibile nei film di un autore riflessivo come Costanzo. 
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