I dolori del giovane Werther

Il celebre romanzo di Goethe, messo in musica da Jules Massenet nel 1887, è rappresentato al Teatro dell’Opera di Roma. Una visione atmosferica seducente, soffice, con punte dolenti certamente, ma dense di pittoricismo. Uno spettacolo da non perdere
Werther

Il personaggio goethiano, inquieto e tormentato d’amore per Charlotte, chiuso col suicidio e l’invocazione a Dio, mentre i bambini cantano la gioia del Natale, immerso nell’amore estatico per la natura, è già romanticismo sospeso fra tormento e contemplazione, passione irrefrenabile e senso del destino inesorabile.

Chissà cosa ne avrebbe fatto Verdi, se ci avesse pensato: certo una cosa ben diversa dal “dolce Massenet” come lui definiva icasticamente il compositore francese.

In effetti i quattro atti dell’opera sono immersi più che nella caratterizzazione drammatica dei personaggi, in una visione atmosferica seducente, soffice, con punte dolenti certamente, ma dense di pittoricismo sia nel modo di trattare il canto che l’orchestra, evidenziando da una parte l’abilità di Jules e dall’altra la sua ispirazione fondamentalmente lirica.

Potremmo dire che si tratta di aure vicine alla sensibilità di un Puccini – con cui i contatti sono notevoli (si pensi al finale di Bohéme e a quello di Werther) e della pittura impressionista. Ed in effetti l’acme della partitura è forse la stupenda aria “Ah non mi ridestar” (“Pourquoi me reveillez”), pregna di sentimento panico e amoroso della natura, di quel clima di elegia che è la cifra di Jules, fra l’altro grande melodista.

L’allestimento dall’Opera di Francoforte conta su scene scarne – una parete mobile che si apre e chiude a delineare la natura ora solare come in un blu di Segantini, ora gelida ora nevosa –, su cui si svolge l’azione, con costumi di fine – Ottocento e il “villaggio” dell’ambientazione essenzializzato in piccole costruzioni in miniatura.

Forse troppo sobrio per una musica talmente vaporosa, cui la regia di Willy Decker cerca di rimediare con una vivacità di azione e alcuni frizzi comici. Ma la compagnia di canto è buona, ottima anzi in Francesco Meli, un Werther il cui canto appassionato, levigato, melodioso, capace di “pianissimi” soavi è davvero coinvolgente, come l’Albert di Jean-Luc Ballestra (bella voce baritonale) e la Charlotte di Veronica Simeoni.

La direzione di Jesùs Lòpez-Cobos è corretta, accompagna il canto con misura, anche se la si desidererebbe un po’ più slanciata. Bravissimi i bambini del Coro Voci bianche diretto da Josè Maria Sciutto. Spettacolo da non perdere, per lasciarsi portare dall’onda raffinata della musica di Massenet e dalla prova appassionata dei cantanti-attori. Repliche fino al 29.

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