I diritti umani nel pensiero di Chiara Lubich

Protomoteca del Campidoglio, 10 dicembre 2011
10.12.2011 protomoteca del Campidoglio

Chiara Lubich nel 1998 ricevette dal Consiglio d’Europa il Premio europeo dei diritti dell’uomo. Nel discorso che ella pronunciò il 22 settembre di quell’anno, sottolineò che veniva in quel modo riconosciuto «il concreto contributo che questo Movimento [il Movimento dei Focolari] dà “per la promozione e difesa dei diritti umani”». Chiara citava il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, dove gli esseri umani, dei quali la Dichiarazione parla in tutti gli articoli che seguono, ricevono una implicita definizione: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

Gli esseri umani qui vengono definiti attraverso i diritti; Chiara commenta: «Gli uomini, tutti gli uomini, devono vivere come fratelli. Ed è soprattutto questo che il Movimento dei Focolari vuol perseguire. È qui, in modo speciale, che esso s’incontra con le finalità del Consiglio d’Europa. Il suo scopo di fondo, infatti, è: lavorare perché nel mondo si realizzi la fratellanza universale»[1]. È questo che Chiara sottolinea come la radice della definizione stessa: la realtà della fraternità universale.

Sette giorni prima, il 15 settembre, sempre a Strasburgo, parlando al gruppo parlamentare del Partito popolare europeo che l’aveva invitata, spiegava che scopo del suo Movimento «è contribuire a realizzare il Testamento di Gesù: «Padre […] che tutti siano una cosa sola come io e te» (Gv 17, 21). In pratica: a concorrere a fare dell’umanità una sola famiglia»[2]. È il medesimo concetto della fraternità universale, espresso in un linguaggio diverso, cioè in quello spirituale che fa riferimento al carisma di Chiara: l’unità, e alla sua radice evangelica.

È dunque attraverso tre linguaggi diversi – quello biblico del “testamento di Gesù”; quello spirituale del “carisma dell’unità”; quello politico-giuridico della fraternità universale dell’umanità – linguaggi ricondotti ad una sintesi, che Chiara descrive il quadro nel quale collocare la sua interpretazione dei diritti umani.

 

Proviamo a seguire, brevemente, il percorso di Chiara, che è ad un tempo personale – si tratta delle tappe della sua vita – e logico. Il suo grande punto di partenza, la svolta che segna la sua esistenza e che diventa il primo punto della sua spiritualità, è la scoperta che Dio è Padre, è Amore: «Credere al Suo amore è l’imperativo di questa nuova spiritualità, il suo punto di partenza; credere che siamo amati da Lui personalmente e comunitariamente»; «Come si potrebbe, infatti, avere la visione dell’umanità come di una sola famiglia, senza la presenza di un Padre per tutti?». E da qui si apre la visione relazionale di questa famiglia umana: gli uomini sono figli; e se sono tali devono comportarsi fra loro come fratelli, cioè devono amarsi. Da qui il filo conduttore delle riflessioni che Chiara svolse nei parlamenti e in altri luoghi pubblici di mezzo mondo, in particolare negli ultimi dieci anni del suo impegno pubblico: l’arte di amare, intesa come la metodologia spirituale per chiunque assuma la responsabilità di un impegno sociale o politico.

Per Chiara non si trattava di una serie di “deduzioni”. Ma della logica stessa della vita: certamente, della sua vita e di quella che ha impressa nel suo Movimento. Fin dal 1943, nella sua Trento devastata dai bombardamenti, scopre l’Amore di Dio, lo sceglie come Ideale della sua vita e, per rispondere al Suo Amore, si dedica con tutta se stessa ad amare gli esseri umani: se vuoi amare Dio, è amando il fratello che puoi farlo. Ci raccontava di quella donna impazzita dal dolore, che era uscita incolume dalle rovine della propria casa gridando: «Quattro me ne sono morti!»; è questa la realtà che ci ha comunicato: che Dio giacesse tra quelle macerie, che amarLo significava abbracciarLo nei dolori degli altri e ben dentro la storia e il quotidiano; il diritto fondamentale degli esseri umani è il diritto all’Amore; e quello che per gli altri è un diritto diventa, per me, un dovere. Quante volte Chiara ha spiegato: solo se durante la giornata vivi “fuori di te” e ti dedichi agli altri, allora la sera, guardando dentro di te, troverai Dio, e te stesso in Lui. È la logica della Trascendenza vissuta nella relazione orizzontale: per andare oltre te stesso, non hai bisogno di isolarti: basta che tu vada verso l’altro.

In Chiara gli uomini sono definiti come fratelli: non ne parla in un altro modo che preceda questo che è, dunque, il modo fondante: tutte le successive parole sull’uomo sono basate sulla sua condizione di figliolanza e di fraternità. Si è fratelli perché figli di Dio in Gesù; Gesù, il Figlio, è l’uomo-modello, sul quale prendere la misura dei diritti e dei doveri.

Un diritto umano è un “proprio” dell’uomo; lo caratterizza, è un tratto antropologico, non si dà uomo senza quel diritto, quella fisionomia. Un diritto disegna un tratto imprescindibile del volto umano e fonda una norma corrispondente. In Chiara, la norma fondante è essenzialmente relazionale, è la condizione fraterna, intesa come norma delle norme, della quale ella indica il fondamento evangelico: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12). Questa norma è uno dei principi cardinali della civiltà cui apparteniamo, costituendo l’espressione positiva e dinamica, l’interpretazione originale cristiana della “regola d’oro”: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.

L’amore reciproco diventa, nella storia dell’Occidente, nonostante tutte le tragedie che abbiamo attraversato, principio efficiente ed efficace; lo incontriamo in momenti di svolta, in punti nodali della tradizione giuridico-politica che sviluppa, attraverso i secoli, gli elementi della cultura dei diritti. Pensiamo, soltanto per fare un esempio, a John Locke: ispirandosi al grande teologo anglicano Richard Hooker, egli, nel suo Secondo trattato sul governo, considera l’amore reciproco fra gli uomini come una legge di natura; è il riconoscimento di questa socialità naturale che lo differenzia da Thomas Hobbes: mentre costui basa il suo Stato totalitario, il suo Leviatano, sulla rinuncia ai diritti da parte degli uomini, che così saranno per sempre sudditi e mai cittadini, Locke invece pone le basi dello Stato di diritto, basato in ultima istanza sul riconoscimento della capacità di amare che gli uomini hanno, in quanto fratelli.

Il nuovo impulso che Chiara Lubich ha dato all’idea di fraternità universale riscopre e mette in evidenza la traccia della fraternità come radice della socialità politica, che si è dipanata lungo i secoli, alimentando i pensieri e le azioni migliori degli uomini, sembrando scomparire a volte, come un fiume carsico che riemerge puntualmente quando la fraternità viene vissuta.

Come non stupirsi davanti al silenzio che la riflessione politologica ha steso sul principio di fraternità, davanti a questo superstizioso tabù coltivato dalle accademie che impediscono così a se stesse di comprendere il modo con il quale effettivamente si svolge l’esistenza degli esseri umani? Sappiamo però che questo tabù ha cominciato a venire infranto, e proprio grazie all’impulso che Chiara Lubich ha dato agli studi sulla fraternità, che già hanno prodotto frutti rilevanti anche a livello accademico[3].

 

Possiamo forse ora comprendere meglio lo specifico atteggiamento di Chiara nei confronti dei diritti umani, riprendendo il suo discorso al Consiglio d’Europa. Il Movimento dei Focolari, ella spiega, lavora per realizzare nel mondo la fraternità universale: «E lo fa da oltre 50 anni, anche se – e qui sta la sua caratteristica – non tanto proclamando i diritti dell’uomo e “garantendone, mediante misure progressive… l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto…”, quanto suscitando in più uomini e donne possibile uno stile di vita tale che una delle sue più normali conseguenze è il rispetto dell’uomo e dei suoi diritti. Se poi sono fiorite in esso opere, più di mille, in favore dei diritti umani, esse non sono che espressione di questo amore all’uomo»[4].

E infatti i membri del Movimento dei Focolari sono impegnati – liberamente, in base ad una scelta personale di ciascuno – nei tanti diversi luoghi dove i diritti umani chiedono protezione e garanzia. Dunque anche sul fronte del diritto fondamentale alla vita, la cui difesa – e qui richiamiamo la posizione di Norberto Bobbio[5] e, insieme a lui, recuperiamo anche il contributo di Thomas Hobbes – è causa e condizione della formazione della società politica.

Le parole di Chiara spiegano anche perché ella è sempre stata sensibile alla richiesta di impegno su temi specifici, quali il contrasto dell’aborto, la regolazione della procreazione medicalmente assistita; ma spiega anche lo stile con cui lo ha sempre fatto, all’interno di una visione unitaria dei diritti umani che trova nella figura di Cristo il suo punto di riferimento: e non tanto, da questo punto di vista, il Cristo glorioso, ma il Gesù umiliato, crocifisso, che grida l’abbandono del Padre e sperimenta, nel suo sentire umano, la perdita della relazione filiale: «E non è proprio Lui – chiede Chiara –, terribilmente sofferente, l’emblema più significativo di coloro che sono senza alcun diritto, anzi che hanno i loro diritti drasticamente negati?»[6]. Gesù, poi, risorgerà: non da solo, ma portando con sé tutti gli uomini che aveva raggiunti nella loro croce, nei loro diritti negati. Nella visione di Chiara, Gesù vive l’abbandono proprio per trasmettere a tutti gli uomini la sua condizione privilegiata di figlio. «È sempre stato Lui la stella che ha guidato i nostri passi», conclude Chiara; “passi” di un cammino che l’hanno condotta a vivere e a pensare la fraternità universale come fondamento dei diritti.

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Al Consiglio d’Europa per il Premio europeo dei diritti dell’uomo. Strasburgo, 22 settembre 1998, in «Nuova Umanità» XX (1998/5), 119, p. 529.

[2] Il Movimento dei Focolari nei suoi aspetti politico e sociale. Conversazione tenuta a Strasburgo al gruppo del PPE il 15 settembre 1998, in «Nuova Umanità» XX (1998/5), 119, p. 521.

[3] Rimando alla collana Idee/Politica di Città Nuova Editrice e agli studi sulla fraternità in essa pubblicati; la rivista «Nuova Umanità» ha trattato con continuità l’argomento; gli studi sono reperibili sul sito: www.rivistanuovaumanita.it

[4] C. Lubich, Al Consiglio d’Europa, cit., p. 530.

[5] Scrive Norberto Bobbio: «Il primo grande scrittore politico che formulò la tesi del contratto sociale, Tommaso Hobbes, riteneva che l’unico diritto cui i contraenti entrando in società non avevano rinunciato era il diritto alla vita, e […] Beccaria traeva l’argomento principale contro la pena di morte dalla considerazione che non è concepibile che gli aderenti al contratto sociale abbiano attribuito alla società anche il diritto di privarli della vita»; «La Stampa», 15 maggio 1981. In una intervista al «Corriere della Sera» dell’8 maggio 1981, Norberto Bobbio dichiarò che c’è «innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte (…) Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere».

[6] Ibid., p. 531.

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