I demoni di Weill-Brecht

Scelta coraggiosa, quella di rappresentare un'opera non molto conosciuta dal grande pubblico, che invece ha apprezzato e ha affollato il teatro. Protagonisti tre fuorilegge che decidono di costruire la città di Mahagonny, dove con l’oro si può tutto, senza fatica e dolore. Repliche il 15 e il 17
Mahagonny di Bertold Brecht

D’impatto veemente è la regia di Graham Vick per i tre atti dell’opera di Kurt Weill, su libretto di Brecht, Ascesa e caduta della città di Mahagonny, anno 1930, attualmente rappresentata al romano Teatro dell’Opera, con repliche oggi, il 15 e il 17.

Scelta coraggiosa perchè l’opera del ‘900 non è molto conosciuta dal grande pubblico, che invece ha affollato il teatro. La vicenda dei tre fuorilegge che decidono di costruire la città di Mahagonny, dove con l’oro si può tutto, senza fatica e dolore è una parabola terribile e amarissima sulle illusioni umane di felicità. La gente vi accorre per esse libera da ogni regola: ma se evita i l tornado fisico non evita quello personale, perché la città si rivela un grande inganno a cui soccombono i vari personaggi- espressioni della coralità umana – che vi agiscono.

 

Satira acuta degli anni Trenta e delle inutili follie del tempo, ma di ogni tempo, l’opera procede con una musica che volutamente recupera le forme “chiuse” tradizionali –  songs, arie,  cantabili,  cori – tra ritmi ballabili, jazz, folclorici, canzonettistici ed addirittura corali pseudobachiane. Una “fusione” di stili dove sovrabbonda la vocazione melodica di Weil e le punzecchiature di una orchestra che ama tinte scure, pastose  e pure eccitate, ben sottolineate dalla direzione attenta di John Axelrod.

 

Il nuovo allestimento, in coproduzione con il veneziano Teatro La Fenice e con Valencia, è dinamicissimo, esige cantanti-attori perfetti anche vocalmente – i registri vanno dal grave al sovracuto, dal parlante all’arioso – ed un coro  capace di istrionismi scenici e vocali. Come succede puntualmente nell’esecuzione romana, molto bella sotto questo profilo.

La regia forse talora sovrabbonda in allusioni attualizzanti, ma ha il merito di rendere viva quella ricerca di felicità che si fa palese, nonostante gli ultimi pessimistici versi: “Non potrai salvare un uomo morto”. Da non perdere.

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