I demoni di Peter Stein
L’affresco corale di Dostoevskij al Napoli Teatro Festival Italia. E in tournée mondiale.
Volano via senza stanchezza le dodici ore, inclusi intervalli, della maratona teatrale I demoni di Dostoevskij, allestita da Peter Stein. L’inquietante, complesso romanzo si dischiude nelle parole e nelle azioni di ventisei infaticabili attori che danno vita a una potente polifonia scenica. Una pagina di grande teatro, di rara intensità corale, che è valsa al regista tedesco il prestigioso Premio Ubu.
I temi di oggi ci sono tutti: l’amore, il vuoto, l’assenza di valori, l’indifferenza, il nichilismo, la trascendenza. Sulla scena bastano pochi arredi spostati a vista, alcune pareti e pedane mobili, per determinare i diversi ambienti dove agiscono i protagonisti. E immetterci in quell’universo claustrofobico riunito attorno all’invasata generalessa Varvara Petrovna, e al montare di una “strategia della tensione” costruita dall’aristocratico Stavrogin e dal forsennato Piotr col loro clan di fanatici idealisti falliti che s’illudono di cambiare il mondo. Fermamente risoluti a distruggere il regno zarista, questi giovani nichilisti, negatori di Dio, fino alla delazione, allo stupro, all’assassinio e al suicidio, preparano la rivoluzione con atti gratuiti di terrorismo. Sono, in ultimo, i prototipi di quell’animo russo che cerca nel fondo dell’estrema abiezione la possibilità di salvezza.
Il brogliaccio delle psicologie contorte ed esasperate, così dichiarate da suggerire confessioni deformate dall’autocompiacimento ai molti personaggi di una saga visionaria densa di trame (violente, ma pure da salotto), lo si può leggere come un feuilleton, non privo di umorismo e ironia. Nella descrizione «delle malattie, delle deformazioni, delle pazzie di una giovane generazione che ha perso la fede nella religione diventando vittima dell’ideologia», il regista tedesco legge «le conseguenze del pensare moderno, materialista e nichilista, che mette in dubbio tutto». Una riflessione sul male, politica e filosofica, nonché umanissima, che la sua acuta regia ha impresso nella recitazione febbrile e lucida degli attori.
A traghettarci, col suono di una campanella, nei capitoli dello spettacolo, è lo stesso Stein che si ritaglia anche il ruolo del prete ortodosso Tichon. Da elogiare in blocco l’intero cast, tra cui Elia Schilton, Maddalena Crippa, Fausto Russo Alesi, Alessandro Averone, Pia Lanciotti, Irene Vecchio.
Al Ravenna Festival il 26 e 27/6. Poi Atene e New York.