I cristiani “non pettinino le pecore”
Papa Francesco usa linguaggi inusitati per Roma, che rivelano la sua provenienza. Lunedì scorso, aprendo il Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma ha “osato” pronunciare la parola “rivoluzione”, tipica dell’America Latina degli anni Sessanta-Ottanta. Espressione poco moderata. «Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano!». Sembra di ascoltare Che Guevara o Camilo Torres o i preti sandinisti.
Ma non spaventatevi (né si spaventino i prelati…). Francesco parla della rivoluzione di Gesù Cristo, non di quelle «della storia, (che) hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo». E invece cambiare il cuore è molto più rivoluzionario che rovesciare le strutture e i sistemi, perché trasforma il nostro cuore di pietra in cuore di carne: «un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerezza per chi, portando impresse le ferite della vita, si sente alla periferia della società», specifica Francesco.
Il quale ha davanti a sé il quadro di una società «che vive senza speranza […]: quante persone tristi, senza speranza!». A queste manda i cristiani “rivoluzionari”: «non possiamo essere indifferenti […] dobbiamo offrire la speranza cristiana con la nostra testimonianza».
Il pontefice si rivolge a tutti, «anzitutto ai poveri […] ma anche ai dotti: il vangelo è per tutti». E qui Francesco sfata un’immagine che qualcuno può essersi fatto di lui: «questo andare ai poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti o una sorta di barboni spirituali […]. Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma soffre anche la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Perciò a me piace usare l’espressione ‘andare verso le periferie’, le periferie esistenziali […]. Andare là. E là seminare il seme del vangelo, con la parola e la testimonianza».
La Chiesa “rivoluzionaria” prospettata da papa Francesco è definita in alcune parole: coraggio, pazienza, uscire, fecondità, gratuità. Che si contrappongono a: lamentarsi (ha coniato la definizione “dea Lamentela”), chiusura, delusione, pessimismo, scoraggiamento, paura.
Riporto qualche sua espressione: «Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse in parrocchia». Cita il brano del Vangelo del pastore che lascia le 99 pecore per andare alla ricerca dell’unica perduta, ma lo rovescia: «Ma noi abbiamo una sola pecora, ci mancano 99! […] È più facile restare a casa con quell’unica pecorella, pettinarla, accarezzarla. Ma a noi preti, anche a voi cristiani, tutti, il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle!».
«Quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, questa comunità non è una comunità che dà vita. È una comunità sterile, non è feconda».
Ma dove sta la radice della Chiesa rinnovata, “rivoluzionaria”, di papa Francesco? «L’unica cosa che chiede Gesù: essere accolto […] Abbiamo ricevuto questa grazia, gratuitamente; dobbiamo darla, gratuitamente […]. Non avere paura. Non avere paura dell’amore, dell’amore di Dio, di nostro Padre. Non avere paura di ricevere la grazia di Gesù Cristo, non avere paura della nostra libertà che viene data dalla grazia di Gesù Cristo». Francesco non vuole lanciare la Chiesa allo sbaraglio come un’armata Brancaleone: essa non deve confidare nelle proprie forze, ma solo nella “grazia” (è la parola che più è ritornata nel suo discorso): «Un cristiano deve essere rivoluzionario per la grazia che il Padre ci dà attraverso Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto».
Il “simpatico” Francesco è molto serio: invita i cristiani a essere significativi (ha parlato anche di martirio): «Non avere paura di uscire da noi stessi, non avere paura di uscire dalle nostre comunità cristiane per andare a trovare le 99 pecore che non sono a casa. E andare a dialogare con loro, e dire loro che cosa pensiamo, andare a mostrare il nostro amore che è l’amore di Dio».