I contenuti della sanatoria
Non c’è molto tempo per pensare a quale altra possibile migliore legge questo parlamento avrebbe potuto dedicare le sue energie, fin qui spese più per alzare i toni della discussione (alla strenua difesa delle posizioni di principio avanzate dall’uno o dall’altro schieramento politico) che per affrontare in modo compatto, unitario e convincente e senza strumentalizzazioni di sorta e vedute particolaristiche, una problematica dai risvolti umani e sociali qual è quella della immigrazione. Ma tant’è: la legge ormai è stata approvata dalla Camera e dovrebbe superare anche il vaglio del Senato; e se con essa siano stati risolti o meno tutti i problemi che hanno indotto alla revisione della legge Turco-Napolitano, è quesito a cui si potrà rispondere adeguatamente solo dopo il suo collaudo “sul campo”. Le novità ci sono ed alcune sono anche rilevanti: tutte – ci sembra – nell’ottica di una più rigida e scrupolosa valutazione dei requisiti necessari per l’ingresso dello straniero e delle ragioni della sua permanenza sul territorio italiano. Esse non riguardano solo lo straniero, ma alcune anche il datore di lavoro. Questi ad esempio non potrà più limitarsi a stipulare il contratto di lavoro e ad assicurare l’alloggio allo straniero, ma dovrà anche impegnarsi al pagamento delle spese di viaggio per il suo eventuale rientro nel paese di provenienza. Nell’instaurare con uno straniero un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, in particolare il datore di lavoro dovrà depositare pressol’istituendo “sportello unico per l’immigrazione presso la Prefettura”, considerato ufficio territoriale del governo, tutta una serie di documenti: a) richiesta nominativa di nulla osta al lavoro; b) idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero; c) la proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni; d) dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro (la cui omissione è punita con una sanzione amministrativa da 500 a 2.500 euro!). Segue poi una procedura, in verità per nulla semplice e snella, per dare inizio al vero e proprio rapporto di lavoro, in quanto lo sportello unico trasmette la richiesta di assunzione al “centro per l’impiego”, quest’ultimo diffonde l’offerta di assunzione per via telematica, su Internet e con ogni altro mezzo possibile e nei venti giorni successivi verifica l’indisponibilità di lavoratori nazionali o comunitari ad accettare l’offerta lavorativa, rilasciando un’eventuale certificazione negativa; dopo, lo sportellounico, entro 40 gg., rilascia, sentita la questura, il nullaosta all’assunzione (che ha validità di un anno) e all’ingresso del lavoratore straniero e, a richiesta del datore di lavoro, trasmette la suddetta documentazione, oltre al codice fiscale dello straniero, agli uffici consolari. Ma non finisce qui: gli uffici consolari provvedono a rilasciare il visto d’ingresso allo straniero che, finalmente in Italia, dovrà recarsi, entro otto giorni dal suo ingresso, presso lo sportello unico per la firma del contratto di soggiorno e poi in questura per ottenere il fatidico permesso di soggiorno. È bene comunque – per chi ospita o assume uno straniero – ricordarsi di darne comunicazione entro 48 ore all’autorità di pubblica sicurezza, perché diversamente si espone alla poco gradita sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1100 euro (fino quindi a quasi 2 milioni delle vecchie povere lire italiane!). La tanto sospirata sanatoria – se non ci saranno revirements dell’ultima ora – riguarderà solo le cosiddette “badanti” (e cioè personale di origine extracomunitaria assunto di fatto da un datore di lavoro per adibirlo all’assistenza di familiari affetti da patologie o da handicap che ne limitano l’autosufficienza) e le collabora- trici domestiche, sulla base di un’autodenuncia da parte del datore di lavoro stesso entro due mesi dall’entrata in vigore della legge presso l’apposito ufficio della prefettura istituito per ricevere le “dichiarazioni di emersione di lavoro irregolare”, come le definisce la normativa. In tale dichiarazione devono risultare i seguenti elementi a pena di inammissibilità: le generalità del datore di lavoro ed una dichiarazione attestante la cittadinanza italiana o, comunque, la regolarità della sua presenza in Italia; l’indicazione delle generalità e della nazionalità dei lavoratori occupati; l’indicazione della tipologia e delle modalità di impiego; l’indicazione della retribuzione convenuta, in misura non inferiore a quella prevista dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento. Segue poi una valutazione da parte delle autorità competenti sulla riversibilità della “dichiarazione di emersione” e l’eventuale rilascio da parte della questura del permesso di soggiorno per lo straniero della durata di 1 anno. La “regolarizzazione” ha però un costo, quantificato in misura forfettaria pari all’importo trimestrale corrispondente al rapporto di lavoro dichiarato, senza ulteriori aggravi, e comporta l’impegno per il datore di lavoro a stipulare con il prestatore d’opera il contratto di soggiorno di cui s’è detto prima. Adempimenti burocratici e percorsi “obbligati” non hanno mai incontrato istintivamente la simpatia della grandi masse ed in particolare dell’opinione pubblica italiana, anche forse perché ad essi non sempre si è accompagnata – nonostante la buona volontà di molti operatori delle strutture pubbliche – una efficiente risposta da parte delle Istituzioni. C’è da augurarsi che al formalismo richiesto dalla nuova normativa corrisponda un’effettiva regolamentazione del fenomeno dei flussi migratori, e proprio per dare agli stranieri stessi risposte più adeguate alle loro più vitali esigenze.