I colori audaci di Diego Nocella
Troppe le cose da dire e da raccontare, troppo ricco il mondo di sensazioni, di sofferenza, ma anche di dissacrazione del dolore e del brutto, che si teneva dentro e che ad un certo punto doveva uscire fuori. Diego decide di cercare se stesso e lo fa attraverso l'arte. All'inizio è la scrittura e poi dopo varie sperimentazioni approda a quella che è la sua lingua comunicativa: la pittura.
«A dire il vero, ho iniziato da grande ad avvicinarmi a questa forma di comunicazione – racconta Diego Nocella, giovane pittore napoletano classe 1981-. Avevo 25 anni quando ho cominciato da autodidatta. Sbagliando molte cose, sprecando anche del denaro nella scelta errata del colore ad esempio e poi, grazie ai consigli e al supporto della mia ragazza, Virginia, mi sono iscritto all’Accademia». Un’esperienza che gli ha fatto conoscere la pittura “selvaggia”, mettendolo in contatto con le tematiche surrealiste dell’inconscio e con artisti quali Eduard Munch, Oskar Kokoschka, Mario Sironi, Jackson Pollock e Francis Bacon, ai quali si è ispirato per poi trovare una personale chiave interpretativa e una sua tecnica personale che lo portano a sperimentare costantemente.
«Credo che a volte oggi si faccia confusione tra quello che è un artigiano, che non fa altro che riprodurre stili, modelli e cliché già conosciuti e praticati e quello che invece è l'artista, che si mette in discussione e sperimenta.». «Purtroppo devo dire che a Roma, a Barcellona e in molte altre città, dove ho vissuto, il concetto di pittura è assimilabile ad un complemento di arredo, che deve intonarsi allo stile di una casa, o di un ufficio». Il giovane pittore napoletano è amareggiato perché «c'è poca voglia di fare arte, anche nelle gallerie e ad esempio il mio tipo di pittura, non convenzionale, come quella di tanti altri, non riesce a trovare uno spazio adeguato». Viscerale, potente, forte, drammatica, corposa la pennellata di Diego Nocella tende a dissacrare il reale, che nelle sue tele risulta trasfigurata così come i corpi che rappresenta. Si tratta di una tecnica che come lui stesso le definisce «mi porta a un corpo a corpo tra la tela e me stesso. Quando guardo una tela bianca mi ci butto, è un incontro totale tra lei e me, perché devo dare forma a quello che vivo e vedo dentro. Qualcuno pensa che mentre dipingo sia in preda a chissà quale delirio artificiale, o abbia chissà quale disturbo. Non è così. Io parto semplicemente dalla realtà che ci circonda, da ciò che vedo: ipocrisia, brutture, crisi economica e destrutturo, cercando di sdrammatizzare la pesantezza della pennellata con la scelta del colore o viceversa. Perché la vita è questo: è il bello, ma anche il brutto. E sarebbe riduttivo e falso far vedere solo il primo. Credo che prima o poi, per avere un incontro maggiore non userò nemmeno più il tramite del pennello, ma le mani stese, per una sensazione più totale».
Le tele di Diego Nocella in effetti possono sembrare a prima vista un pugno allo stomaco: forti, tenebrose, con un colore carico nella quantità e pieno nella cromia, con blu e rossi accentuati. La forza vitale e la carica evocativa non difettano. «Sono orgogliosissimo delle mie origini, di essere napoletano e credo che in fondo sia proprio questo che cerco di rappresentare – continua ancora Diego -. Quella stessa carica vitale, la stessa carnalità ma anche la leggerezza di un popolo che oggi come ieri vive e ha vissuto la crisi economica e prende la vita con leggerezza e senza troppe ipocrisie».
Vivere di un'arte come la pittura non è semplice, se non quasi impossibile per chi non ne fa un complemento d'arredo. Diego, nei mesi estivi, si destreggia tra tanti lavori per potersi permettere “il lusso” di dipingere il resto dell'anno. «Non ho paura di sporcarmi le mani, ho accettato e accetto qualsiasi tipo di lavoro purché pagato – racconta l'artista – perché penso che non ci sia niente di cui vergognarsi se è un'attività onesta. E poi questo mi permette di studiare la realtà attraverso esperienze di vita che trasferisco nelle mie tele». Per amore si è trasferito da Barcellona a Roma e qui «continuo nella mia strada di pittore, sperando di poterci vivere un giorno, anche se per primi i miei genitori credono che sia una perdita di tempo.».