I capolavori viaggiano
Ormai è abituale. I capolavori dei grandi maestri escono da musei e chiese, e viaggiano per mostre, un po’ dappertutto. È successo, come uno degli ultimi esempi, con il Seppellimento di santa Lucia del Caravaggio trasportato, pur tra polemiche, da Siracusa al Mart di Rovereto in dialogo con Burri e Pasolini.
E succede – durerà fino al 17 gennaio – con la Sacra Conversazione di Maria col Bambino fra i santi Tommaso e Caterina d’Alessandria di Lorenzo Lotto che dal Kunsthistorisches Museum di Vienna è tornata a Venezia alle Gallerie dell’Accademia.
Perché parlare di quest’opera così lontana nel tempo, anni 1528-1530? Perché la tela di quell’uomo straordinario e religiosamente inquieto come Lorenzo è qualcosa di estremamente attuale. Lotto è un artista irrequieto, un emarginato tra i grandi del suo tempo – Raffaello, Correggio, Tiziano, Michelangelo –, però non inferiore a loro. Lavora in provincia, nelle terre bergamasche o marchigiane.
È un introverso, non è un facile ottimista. Il suo tempo non è dei più felici: la rivoluzione luterana, il Sacco di Roma, guerre e malattie. Tutto ciò entra nella sua anima, lo ferisce, l’inquieta e traspare dalla sua opera.
Qui in uno dei prati dolci e fioriti tanto amati, sta Maria che offre il Bambino alla santa pensierosa e a Tommaso in adorazione affettuosa. Siamo in estate, una di quelle estati che dovrebbero essere serene con i monti lontani velati da chiarori, la grande quercia sotto cui siede la Vergine, anche lei pensierosa. Un angelo la incorona di fiori di campo. I colori sono affascinanti, elettrici, raffinati nella veste della santa e in quell’azzurro dell’abito di Maria: l’azzurro unico, tipico del solo Lotto.
Paragonata alle Sacre Conversazioni di Tiziano, aperte solari ottimistiche e a quelle placide, tranquille di Palma – i grandi contemporanei –, la tela del Lotto appare invece attraversata da un sottile velo di malinconia.
È come se nel gruppo fossero riposte le ansie di una generazione che vive un dramma, conosce la paura e l’angoscia. Lorenzo è un artista che entra nell’anima, scava, trasferisce la propria inquietudine e quelle del suo tempo nel soggetto sacro. Vuole dire che i nuovi eroi cristiani, i santi, non sono irraggiungibili, come quelli di Michelangelo e Raffaello, ma condividono la medesima esperienza di chi vive ancora in terra.
Un brivido di luci passa tra i personaggi in ritmi irrequieti e dona all’insieme una tensione emotiva a stento frenata. È nell’angelo con la sua grazia nervosa il punto di partenza per entrare nella tela dai colori fulgenti e freddi, dai sentimenti accesi ma sussurrati, in una mestizia sospesa. È trepidazione di un coro campestre che dialoga nell’animo da solo e insieme.
Nel nostri giorni insicuri e dubbiosi, la tela lottesca dialoga nel museo veneziano con il Ritratto di giovane – sempre di Lorenzo –, misterioso e pallido, in un autunno di tempeste e di petali sparsi, doloroso quant’altri mai.
Eppure la trepidante Conversazione di Vienna non chiude alla consolazione. L’angelo-ragazzo che incorona Maria la rende ancor più madre vicina agli uomini, riflessiva sulle sorti umane – come farà anni dopo il Caravaggio a Napoli nelle Sette opere di misericordia –, ma qui meno irruenta, perché discreta, semplice, riservata. Come il Bambino che rassicura i due santi, cioè noi, con un piccolo gesto benedicente che dà coraggio.