I buoni piani dell’Italia saranno buoni anche per l’Africa?

Dall'ottobre 2022, Giorgia Meloni ha avviato una significativa svolta in politica estera che mira a ristrutturare la cooperazione dell’Italia con il continente africano: il Piano Mattei per l’Africa
Il primo ministro Giorgia Meloni con il presidente tunisino Kais Saied durante l'incontro al Palazzo presidenziale a Cartagine, Tunisia, 17 aprile 2024. (Ansa)

Dopo il vertice Italia-Africa di gennaio 2024, Georgia Meloni ha compiuto altri viaggi verso sud. A marzo ha visitato l’Egitto e ad aprile si è recata in Tunisia ed Etiopia, gettando le basi per accordi di cooperazione nei settori dell’acqua, dell’agricoltura e dell’istruzione. L’enfasi dell’Italia sull’Africa è stata ulteriormente dimostrata al vertice dei ministri degli Esteri del G7 a Capri, dove l’Italia ha riaffermato il suo impegno nella regione del Sahel.

Jean-Pierre Darnis, professore e membro del Center for International and Strategic Studies (Ciss) dell’Università Luiss, stima che da quando si è insediato, il governo presieduto da Giorgia Meloni è stato notevolmente ortodosso nella sua politica estera. Sostegno incondizionato all’Ucraina, fedeltà all’Alleanza Atlantica e piena partecipazione all’Unione Europea: «Questi i punti cardine di un impegno che sembra pienamente in linea con i principali Paesi europei», afferma il professore della Luiss.  Eppure, continua: «Sull’Africa la premier ha rotto le convenzioni, sottolineando l’intrattabilità della strategia estera della coalizione nazionalista di destra», alla quale peraltro appartiene.

«Uno Stato serio presidia e difende i propri confini. Non mi stancherò mai di ripeterlo: l’unico modo per fermare l’immigrazione clandestina è istituire un blocco navale», aveva detto Giorgia Meloni, all’epoca leader del partito di opposizione nazionalista Fratelli d’Italia. Tanti ricordano questa sua affermazione.

Incaricata ad ottobre 2022 della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano, ora parla di «costruire ponti insieme»: cosa è cambiato nel frattempo? Il fatto nuovo è la guerra di Kiev e il bisogno di energia dell’Europa.

Quando ha iniziato il suo mandato, l’Africa era già di importanza critica per tutta l’Europa a causa dell’emergenza causata dall’aggressione russa all’Ucraina (febbraio 2022), che ha costretto l’Unione Europea a cercare rapidamente forniture alternative di gas e petrolio. Insieme ad altri leader dell’Ue, Meloni si recò in vari Paesi del Nord Africa come Algeria, Libia e Tunisia, firmando numerosi accordi sulle forniture energetiche. Molti di questi accordi stipulati con regimi autocratici, e che tentano di collegare le questioni energetiche con il contenimento dei flussi migratori, sono stati in Europa molto discussi e ritenuti discutibili.

L’Italia è al centro della questione migratoria europea da decenni. Il 14 e 15 aprile Giorgia Meloni è stata accolta ad Addis-Abeba dal premier etiope Abiy Ahmed Ali. Ha poi incontrato il presidente dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat. Con il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha promosso una riunione trilaterale. Le discussioni hanno riguardato la cooperazione tra l’Italia, l’Etiopia e la Somalia, la stabilità nel Corno d’Africa e la migrazione verso l’Europa. Il Corno d’Africa «è cruciale e sensibile per noi», ha dichiarato la premier italiana. Questa regione, infatti, ospita 823 mila rifugiati e 4,2 milioni di sfollati, soprattutto a causa della siccità: un bacino che alimenta il flusso migratorio verso l’Europa.

Nei colloqui con il presidente tunisino Kais Saied, Meloni si è concentrata sulla questione della migrazione. I due Paesi hanno firmato tre nuovi accordi. Rivolgendosi alla stampa dopo i colloqui, Meloni ha definito il rapporto dell’Italia con la Tunisia “strategico” e di “massima priorità”. «È essenziale lavorare insieme», ha dichiarato, alla sua quarta visita in Tunisia in poco meno di un anno. Ha quindi aggiunto di voler cercare di fare in modo che la Tunisia non diventi «il punto di arrivo dei migranti provenienti dal resto dell’Africa».

Il presidente tunisino Saied è stato per anni categorico sul fatto che la Tunisia non accetterà rimpatri di suoi cittadini da Paesi terzi, e non accetterà di diventare un centro di smistamento dei migranti per conto dell’Ue, controllando la legittimità delle richieste di asilo prima che le persone si imbarchino verso l’Europa.

Secondo l’agenzia di stampa Associated Press (Ap), i critici della Meloni hanno riferito che la premier italiana ha eluso in qualche modo (volutamente) le questioni poste da Saied e si è invece concentrata sull’elogio delle “priorità condivise” dalla Tunisia e dall’Italia.

Molti ricordano che l’anno scorso, Saied è stato ampiamente criticato dalle organizzazioni internazionali per l’uso di una retorica che collegava i migranti africani alla criminalità nel suo Paese e sembrava incolparli dei problemi economici e politici che la Tunisia sta vivendo. Le sue parole avevano generato un clima di paura in molti migranti dell’Africa subsahariana in Tunisia, alcuni dei quali vivono e lavorano lì da anni: ne erano scaturite violenze, disordini e una serie di rastrellamenti e arresti, in cui sarebbero morte diverse persone e altre sarebbero rimaste ferite.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha affermato che gli accordi dell’Italia con la Tunisia non hanno come primo obiettivo l’interesse dei migranti, e che questa cooperazione sembra permettere tacitamente a Saied di continuare con la sua “retorica razzista e anti-immigrati”.

Anche un analogo accordo firmato al Cairo ha attirato le critiche dei gruppi per i diritti umani.

Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare, ed è la pressione esercitata da attori extraeuropei come la Cina e la Russia sul continente africano. Alcuni stimano che questo fatto dovrebbe spingere gli europei a favorire una necessaria cooperazione. L’ascesa dell’Italia alla ribalta di una politica estera africana potrebbe quindi servire gli interessi europei, non solo italiani, poiché le politiche dell’Unione hanno spesso sofferto di una mancanza di concretezza che le ha rese poco attraenti.

In queste settimane, studiosi e analisti come Jean-Pierre Darnis hanno evocato i legami tra l’Italia e l’Africa, perché l’Italia è fortemente radicata in Africa. L’Eni svolge un ruolo di primo piano nel continente. Ma non è l’unica azienda interessata alle opportunità in Africa: altre grandi imprese italiane, come il gruppo di gestione dei servizi idrici Acea e il colosso energetico Enel, hanno partecipato fin dall’inizio ai progetti pilota in materia di energia e ambiente.

Darnis ha inoltre ricordato l’importanza delle reti cattoliche italiane in Africa: così la Comunità di Sant’Egidio, che ha agito come mediatore in conflitti come la guerra civile del Mozambico. Ma per il passato basti pensare a Daniele Comboni che ha lottato contro la schiavitù in Nordafrica, e le sue opere continuano tuttora. E cosa dire delle Congregazioni religiose e delle Ong italiane che sono molto attive nel settore della cooperazione sul continente? Sono numerose le associazioni, spesso di matrice cattolica, che favoriscono la crescita di un tessuto territoriale che sostiene diversi progetti e iniziative nel continente africano. Si potrebbe immaginare che queste associazioni e le loro iniziative, con tutto il loro peso specifico, vengano in qualche modo valorizzate e sostenute dalle politiche italiane ed europee? Potrebbe essere una pista. In ogni caso finora, con i dovuti dubbi e distinguo, il “Piano Mattei” di Giorgia Meloni sembra piuttosto promettente da entrambi i lati lo si guardi.

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