I bimbi hanno bisogno del papà già nel pancione
Il secondo ambiente in ordine di importanza per la vita del bambino è rappresentato dalla figura del padre, con il quale il nascituro condivide il 50% del patrimonio genetico.
Secondo la psicologa tedesca Monica Lukesch, che ha seguito duemila donne lungo tutta la gravidanza e il parto, la qualità del rapporto che la madre ha con il partner è essenziale per la formazione della personalità del bambino.
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Non dobbiamo mai dimenticare che il padre durante la gestazione concorre insieme alla madre alla formazione del figlio.
Il bambino ha bisogno del padre già durante questo periodo, ha bisogno di sentirlo vicino per ricevere da lui quel nutrimento affettivo, emotivo, relazionale e intellettivo necessario alla sua crescita e alla sua maturazione: il suo apporto non può che essere di natura integrativa e complementare rispetto alla madre (Soldera 2000b). Il padre rappresenta quindi per il bambino l’ambiente non condiviso, dato che può avere con lui una specifica relazione, diversa da quella vissuta dalla madre.
Ad esempio, la voce del padre è molto interessante per il bambino, perché rispetto a quella della madre, che gli arriva sempre dallo stesso punto, gli arriva ogni volta da posizioni differenti. Il padre costituisce la punta più avanzata di ambiente non condiviso e grazie alla sua affinità genetica con il figlio è in grado di entrare, già durante la gravidanza, in un rapporto particolare di empatia, costruendo con lui una relazione intensa e profonda, capace di incidere sulla sua vita e favorire la sua apertura al mondo.
Gli adulti che da bambini hanno ricevuto maggiore affetto paterno, infatti, tendono a intrattenere buone relazioni sociali, come avere un matrimonio duraturo e felice, avere figli e impegnarsi con altri in attività ricreative extrafamiliari (Franz 1990).
Negli ultimi decenni la figura del padre ha iniziato una radicale trasformazione: dall’estremo autoritarismo si sta cercando di passare all’autorevolezza. In passato i padri “dovevano” essere severi: il gioco e la creatività dei piccoli venivano così sacrificati in nome di una tradizione che negava loro affetto e comprensione, provocando spesso nei bambini un basso concetto di sé che li avrebbe accompagnati per tutta la vita. Negli ultimi tempi, invece, molti uomini hanno abbandonato il ruolo di padre distante e sono in grado di manifestare apertamente ai figli i loro sentimenti.
Allevano, amano, comprendono i loro bambini e si prendono la responsabilità di allevarli insieme alle compagne, senza volerne minare la posizione. Il merito è anche delle mamme, che hanno favorito in loro la consapevolezza che questa non è prerogativa del genere femminile, e che il papà può partecipare alla crescita e alla cura del bambino senza vedere messa in discussione la sua virilità.
La difficoltà dell’uomo nel partecipare totalmente a gravidanza, parto e nascita comunque non è solo una questione socioculturale.
In primo piano c’è il fatto di vivere la gravidanza “da spettatore”: il papà spesso diventa consapevole della sua nuova condizione solo quando il bambino è nato, la percezione emotiva della paternità è infatti legata alla possibilità di avere un’interazione con il proprio bambino. Per favorire il riconoscimento del ruolo paterno, quindi, è importante che la relazione padre-figlio inizi fin da subito, già in gravidanza. In questo periodo inoltre il padre ha un ruolo chiave anche nel contenere la compagna, nel soddisfarne i bisogni primari e nell’aiutarla a utilizzare al meglio le proprie risorse, in modo da affrontare ed elaborare nel migliore dei modi le preoccupazioni di questo periodo (Soldera 2000b).
Un’altra difficoltà per il padre è l’assenza di un modello paterno valido: l’uomo può così credere di dover costruire una relazione padre-figlio che si aggiunga/sostituisca a quella madre-figlio.
Al contrario, solo la triade madre-padre-figlio costituisce il modello familiare che accoglie al meglio i bisogni del bambino.
Ma diventare padre è il compito più impegnativo che un uomo possa svolgere.
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Figli si nasce mentre genitori si diventa. Diventare padre significa, in un certo senso, fare posto al figlio, accettando che la coppia cambi, avviando così un percorso di maturazione personale.
Il passaggio a un’interpretazione più positiva del ruolo del padre e a una sua effettiva presenza e cura educativa avrà effetto sull’intera società, perché i figli cresceranno entro legami di affetto e di sicurezza, ma nello stesso tempo consapevoli dell’importanza della libertà e della responsabilità. D’altro canto, se la funzione genitoriale viene svolta in modo equilibrato il figlio si sentirà più sereno e libero di comunicare il suo mondo interno.
Affinché si stabilisca un rapporto tra padre e figlio sono necessarie due condizioni: un atteggiamento favorevole verso la relazione e la possibilità di comunicare.
Un papà entra in relazione con suo figlio se riesce a superare i suoi pregiudizi e comincia a considerarlo una persona, con un atteggiamento di piena accoglienza e accettazione. Dal canto suo, il piccolo riesce a esprimersi solo se riceve quegli stimoli e quell’amore di cui ha bisogno. La comunicazione tra padre e figlio già in questa fase può essere definita “circolare”, perché inizia da una proposta (che può partire indifferentemente dall’uno o dall’altro), per poi tornare come controproposta.
Il padre può comunicare con il bambino attraverso il suono, il canto o la parola: abbiamo visto infatti che il nascituro riconosce la sua voce. Un interessante studio sul metodo della maternità cantata effettuato in famiglie di cantanti professionisti ha evidenziato che la madre, con voce da soprano, agisce principalmente sullo sviluppo degli arti superiori e della testa del nascituro; la voce da baritono del padre influenza invece la formazione e il consolidamento degli arti inferiori del corpo. In sintesi, i suoni più acuti risuonano in alto e quelli più gravi in basso.
Un’altra modalità di comunicazione che il papà può mettere in atto è quella tattile. Il piccolo infatti reagisce alle pressioni della mano sul pancione modificando la sua posizione. In questo modo padre e figlio iniziano a percepirsi e a dialogare intensamente, scambiandosi emozioni e informazioni molto profonde.
Questo tipo di comunicazione consente ai genitori di sentire precocemente i movimenti del bambino, che intesse da subito un contatto con loro.
Il padre poi può anche riuscire a instaurare una comunicazione di tipo empatico con il figlio, perché può cercarlo nella propria coscienza, per sentirlo e costruire con lui una comunicazione intima e profonda. Deve imparare a capire qual è lo stato emozionale del piccolo, capire se sta bene o male e se ha bisogno della sua presenza.
Racconta Luciano:
Ho avuto l’opportunità di vivere l’esperienza del percorso di educazione prenatale in qualità di genitore. Come padre posso dire che noi uomini abbiamo la necessità di essere sostenuti e incoraggiati ad accogliere e a riscoprire questo nuovo ruolo.
La gravidanza, il parto e la nascita sono stati da sempre considerati esclusive del genere femminile. Dunque, per l’uomo, partecipare a tali eventi comporta spesso un certo disorientamento. Anch’io ho avvertito forte l’esigenza di non essere messo da parte e aiutato a sentirmi padre già durante la gravidanza, a esprimere le mie emozioni. Sono convinto che solo favorendo la costruzione di una triade madre-padre-bambino si potrà costruire un modello familiare che consentirà lo sviluppo armonioso del bambino.
Perché un conto è “esser padre”, un conto è “sentirsi padre”, che si riferisce alla percezione emotiva della paternità, alla capacità di costruirsi un’immagine positiva di padre accanto al proprio bambino. Possiamo dire, anche alla luce delle nostre esperienze con i corsi di educazione prenatale, che la capacità di sentirsi padre è strettamente legata alla possibilità di entrare in comunicazione subito con il proprio bambino già durante la gravidanza e di esser aiutato a esprimere le emozioni e i sentimenti contrastanti che come padre a volte possono rimanere nascosti.
Da Gino Soldera, Mamme e papà, l’attesa di un bambino (Città Nuova, 2014)