I batteri mangia petrolio
Dei microrganismi, la cui esistenza era già nota, stanno degradando il greggio nel Golfo del Messico. Una buona lezione per l'uomo.
Buone notizie dal Golfo del Messico dove non solo sembra essersi arrestata del tutto la fuoriuscita di petrolio che da aprile in poi aveva riversato in mare migliaia di litri di greggio, ma è stata rilevata un’efficace opera di “pulizia” da parte di alcuni batteri in grado di mangiare il liquido nero, fatto questo che certamente aiuterà a risolvere più velocemente l’impatto ambientale causato dall’esplosione della piattaforma petrolifera.
Questo batterio è stato scoperto già nel 2007 nell’isola di Deokjeok nel Mar Giallo da H. Kim e dai suoi collaboratori. I ricercatori studiandone il genoma hanno concluso che si trattava di una specie nuova e lo hanno chiamato Marinobacterium litorale. Il genere era conosciuto da tempo e molte delle specie in esso incluse hanno la capacità di vivere in ambienti estremi e di metabolizzare gli idrocarburi.
Gli idrocarburi che compongono il petrolio hanno, come avviene per tutte le sostanze organiche naturali, degli organismi che li utilizzano nel loro metabolismo come risorse: batteri, funghi, alghe. In particolare, alcuni batteri che vivono in ambienti difficili per la vita, chiamati anche estremofili, hanno un metabolismo che li rende particolarmente efficaci nel ripulire gli ambienti con scarso ossigeno e inquinati da idrocarburi. L’industria che si dedica alla pulizia di spiagge inquinate da queste sostanze, ma anche di superfici sporche di bitume e di prodotti oleosi (motori di navi, di centrali energetiche, ecc.), da tempo alleva in laboratorio questi batteri e poi ne vende le spore o le colonie debitamente trattate per la conservazione e la commercializzazione.
Questa scoperta conferma un dato da tempo conosciuto dagli ecologi: i prodotti organici naturali hanno sempre organismi utilizzatori che li degradano e li riciclano, evitandone così l’accumulo che limita la vita di altre specie. Una lezione che l’uomo dovrebbe imparare e attuare nell’uso e nel riuso delle risorse naturali e nell’evitare di costruire prodotti di sintesi, come molte sostanze plastiche, che non sono “consumate” dagli organismi naturali e, di conseguenza, si accumulano, limitando gli spazi e le risorse per altri organismi.