I barbari. Un nuovo mondo.
Quando la notte di Natale dell’800 papa Leone III incoronò in San Pietro il re franco Carlo, detto poi Magno, salutandolo col grido augurale a Carlo Augusto Imperatore vita e vittoria, sapeva bene quel che faceva. Lo sapeva pure Carlo, anche se poi fece scrivere al suo biografo Eginardo di essere rimasto sorpreso del gesto del pontefice. Entrambi i due poteri, religioso e civile, erano infatti i protagonisti del nuovo Sacro romano impero germanico. È fra questi due aggettivi – romano e germanico – che si incentra la rassegna veneziana: occasione unica di verificare, reperti e documenti alla mano (oreficerie, tessuti, sculture, codici, utensili, corredi funerari, armi…) il cammino che ha portato a saldare, in quella notte natalizia, diversi popoli in una nuova unità sociale e politica, che avrebbe dato vita ad una civiltà da cui è nata l’attuale Europa e di cui continuiamo, nonostante tutto, a vivere. Era stato un popolo barbaro, quello dei franchi, che si era imposto gradualmente e decisamente sulla scena europea nel secolo ot- tavo, eliminando altri popoli insediati in Italia, come i longobardi, o respingendo l’assalto arabo nella Gallia meridionale. Così, sotto il segno del mito quanto mai vivo di Roma, si creava una civiltà costituita da storie diverse che si intrecciavano, ma che avevano un comune legante, la fede cristiana. Ne sono prova tuttora non solo le grandi architetture rimaste – come la cappella di Carlo Magno ad Aquisgrana di chiara fattura tardoromana – ma codici, dittici eburnei, evangeliari miniati a pitture fantasiose e astratte (di matrice germanica) insieme alla nuova scrittura carolina che si rifaceva ai modelli romani: segni di un fermento culturale che derivava da una coscienza della continuità fra l’Impero antico e quello cristiano. La notte dell’800 era dunque la fine di un cammino secolare di contatti e spostamenti fra popoli iniziato già nel secondo secolo della nostra era e poi, in modo ancora più rilevante, in età costantiniana, nel quarto. Si trattava dei cosiddetti popoli barbari, quelli che una storiografia ed una raffigurazione artistica, ormai in parte superata, ha presentato esclusivamente come razziatori violenti e incivili. In realtà, l’Impero romano, allargandosi nell’Europa e in Oriente, aveva lentamente già assorbito le forze migliori dei popoli conquistati. L’immagine – un topos ricorrente nell’arte romana – del generale vittorioso che calpesta i barbari barbuti e nudi (si vedano i rilievi della Colonna Traiana o i sarcofagi) cedeva lentamente a quella del guerriero che in una iscrizione funeraria del IV secolo diceva di sé: Franco nel civile, sono soldato romano sotto le armi. Integrazione. È il termine che indica il lento processo con cui popoli non romani entrano a far parte dell’impero, mantenendo le proprie identità culturali, pur in un’ottica romanizzata, anzi diventando parte del ceto dirigente del tardo impero, come il generale goto Stilicone e facendosi cristiani, ora che la nuova religione stava diventando quella ufficiale dello Stato. Come si diceva, era dal secolo IV che il fenomeno migratorio aveva cominciato ad investire in un flusso instabile il Sud dell’Europa: unni, visigoti, vandali, pressati da altri popoli e da necessità economiche, premono vigorosamente sul limes (il confine) imperiale. Non invadono, solamente, ma emigrano in massa. Originando un confronto-scontro con la popolazione locale, non immune dalla violenza e dall’incomprensione reciproca in un impero che, gigantesco, è diviso in due tronconi, Occidente e Oriente. Sono secoli che vedono la fine dell’Impero occidentale nel 476 e conoscono l’incontro con altri popoli, come i longobardi nel VI secolo. È il cristianesimo nella sua versione ariana germanica o cattolica romana, a fare da legante, assorbendo i nuovi venuti con le popolazioni locali, favorendo una lenta compenetrazione reciproca, come evidenziano le decine di reperti esposti nella rassegna. Sono figure carismatiche, papi come Leone e Gregorio magno, monaci come Benedetto da Norcia, condottieri come Clodoveo o Carlo, sovrani come Teoderico, scrittori come Paolo Diacono a segnare, in vario modo, le tappe di questa fusione tra nuovo ed antico, tra forze fresche e ultimi fuochi romani. È un mondo in fermento questo che va verso il Mille. Assomiglia, sotto alcuni aspetti, al nostro. Trasmigrazioni di popoli per necessità economiche, incontroscontro fra civiltà, fra timore e accoglienza. Ma con una differenza fondamentale rispetto a quei secoli lontani. Allora, il cristianesimo riuscì, seppur a fatica, a cementa- re, grazie alla fibra della fede, le nuove forme di vita dei barbari con le conquiste culturali della romanità, come il diritto, che daranno origine prima all’Europa dei Carolingi, poi al Medioevo. Oggi, i popoli emigranti trovano una Europa lontana dal cristianesimo, timorosa del futuro, insicura. Anche a questa riflessione sulla storia può servire una rassegna come quella veneziana. Meditando sulla integrazione – riuscita, nonostante la fatica – dei popoli antichi, è possibile raccogliere una motivo di forza per il nostro tempo? UN CAMMINO COMUNE Tre domande a Paolo Siniscalco, professore di Storia del cristianesimo all’Università La Sapienza di Roma. È ancora attuale il cliché dei barbari distruttori. Quanto c’è di vero? I popoli che emigrano in massa – forse per motivi economici – dalle steppe russe e dalla Scandinavia verso il sud e l’ovest europeo, e che noi negativamente chiamiamo barbari, in realtà posseggono una loro civiltà, con propri forme culturali, diverse sicuramente da quelle che incontrano. Ignorano, per esempio, l’evoluto diritto romano. Certo, il confronto con i romani porta ad uno scontro: essi infatti appaiono persone rozze, incivili. Si tratta comunque di una vera migrazione: questi popoli portano con sé tutto ciò che hanno – famiglia, animali, masserizie -, usano la violenza nel contatto con le altre popolazioni, ma non sono nomadi, tendono a stabilizzarsi in un determinato territorio. Un dato, questo, di grande interesse storico, perché poi faticosamente si integreranno, nel tempo, con le popolazioni con cui vengono a contatto. La loro penetrazione è spesso rapida, ottenuta con metodi forti, crudeli anche, il che giustifica il permanere dell’opinione negativa del termine barbaro. In che senso si può paragonare questo fenomeno all’attuale flusso migratorio verso l’Europa? Dovremmo essere cauti nel paragone. Le migrazioni oggi, mi sembra, avvengono in modi diversi. Si tratta di piccoli gruppi, non di popoli interi, che vengono a chiedere aiuto più che a portare distruzioni e ad imporre i propri costumi. Forse il punto in comune fra oggi e il passato è che si tratta di numerose popolazioni che si avvicinano dall’Africa, anche dal lontano Oriente, verso l’Occidente. Tuttavia, allora erano popoli interi che abbandonavano il luogo d’origine per trasferirsi in altre regioni. Da questa mescolanza di stirpi nasce l’Europa. Infatti, dopo un lungo processo i barbari finiscono per trovare un punto di contatto con le popolazioni, assumendo da queste nuovi valori e passando loro i propri. Quale è stato il ruolo del cristianesimo durante questi secoli? Fondamentale, direi. Infatti, ad un certo punto gli scrittori cristiani iniziano a vedere in positivo la venuta dei nuovi popoli. Da una parte condannano il lassismo morale romano, dall’altra di questi popoli colgono un vigore giovane che può dare nuova linfa all’Europa. In questo senso, c’è uno scambio notevole di valori tra i barbari e le popolazioni che da secoli vivevano nell’orbita romana. Infine, è da notare che l’Impero, dal terzo al sesto secolo, è in una fase di debolezza interna notevole, per diverse ragioni, perciò i barbari assumono sempre maggior importanza dove si trovano a vivere: dalla Spagna alla Gallia, dalla Germania all’Italia, ove fondano i loro regni e nuove forme di civiltà.