I bambini rom i diritti e il diritto
Bambini che dormono con i topi; privati di diritti elementari riguardanti salute, istruzione, abitazione; privati anche di un futuro dignitoso perché iniziati all’arte dell’accattonaggio quando non della ruberia, spesso da organizzazioni di criminali. Bambini, quindi, che finiscono per minacciare la tranquillità delle nostre metropoli (Milano Roma e Napoli). Un italiano su due dichiara di aver paura dei nomadi: perché di nomadi si tratta, e dei campi nei quali vivono. Tutto drammaticamente vero. Scatta allora il piano del governo: dichiarazione dello stato di emergenza (lo stesso che si adotta in occasione di terremoti) e conferimento di poteri straordinari, in deroga alla legge, ai prefetti delle tre città interessate. Che per prima cosa dovranno procedere alla identificazione ed al censimento dei nomadi attraverso rilievi segnaletici, dice l’ordinanza; leggasi impronte digitali, anche dei bambini. Seguono poi le dichiarazioni circa le migliori intenzioni legate all’operazione: scolarizzare i bambini, condurli in campi dignitosi, integrarli nella società. Ma il dardo è partito ed ha colpito il cuore: come è possibile che si possa, noi italiani ed europei, pensare di procedere alla identificazione, anche di bambini, sulla base di una appartenenza sociale e forse addirittura etnica? L’allarme sociale che è alla base della dichiarazione dello stato di emergenza firmato dal presidente del Consiglio non può giustificare una pratica che contraddice nel profondo una civiltà fondata sul diritto ed anzi contraddice il diritto stesso. Che è innanzitutto riconoscimento tra pari. Se con un’operazione di chirurgia sociale si isola una comunità e le si applica uno statuto a parte, a cominciare dal modo in cui si identificano i suoi appartenenti, vuol dire aver perduto la memoria profonda non solo delle tragedie del XX secolo e delle infamie razziali perpetrate anche in Italia, ma della propria storia culturale e dell’umanesimo che, per noi italiani, ha trovato nella civiltà giuridica la sua espressione più alta. Un umanesimo via via innervato da un senso della dignità umana di matrice squisitamente cristiana perché figliato direttamente dal dato evangelico della fratellanza universale. Per questo iniziative del genere negano il diritto e lasciano il passo alla forza. Dovrebbero invece davvero parlare i diritti di queste persone e, si badi bene, i diritti includono anche i doveri: diversamente, non vi sarebbe uguaglianza lo stesso. Diritti e doveri: riconoscimento tra pari. Ma non ci sono diritti senza il diritto. Un principio di civiltà che la politica è chiamata a presidiare, senza se e senza ma. Anche – e forse soprattutto! – a dispetto dei sondaggi.