I bambini della notte

Il libro di Mariapia Bonanate e Francesco Bevilacqua racconta una storia vera di guerra e di speranza nell’Africa equatoriale attraverso la costruzione del grande ospedale Saint Mary’s Lacor Hospital, oggi uno dei più qualificati in Uganda
Copertina del libro

«Èmezzanotte al Lacor Hospital, nel nord dell’Uganda. Nei grandi cortili, sotto un cielo equatoriale pulsante di stelle, diecimila bambini dormono in una distesa impenetrabile di corpi. Sono i night commuters, “i bambini della notte” che ogni sera varcano i cancelli dell’ospedale per sfuggire ai guerriglieri di Joseph Kony, che assaltano e bruciano i villaggi del popolo acoli».

Una storia vera di guerra e di speranza nell’Africa equatoriale, narrata da Mariapia Bonanate e Francesco Bevilacqua nel loro libro I bambini della notte, Edizioni Il Saggiatore; una storia che avvince e commuove e varca i confini dell’anima per piantare nel cuore del lettore il desiderio struggente di amore per chi oggi è ancora costretto a soffrire e morire per la fame e la guerra.

Mariapia Bonanate, giornalista che ha firmato reportage e inchieste da ogni parte del mondo, si è posta questa volta in ascolto di Francesco Bevilacqua, professionista con un’esperienza maturata nel mondo aziendale e senior manager in numerose aziende, che un giorno, venendo a conoscenza dell’esperienza in Uganda dei coniugi Piero e Lucille Corti, decide di partire per l’Africa.

Sarà un impatto sconvolgente che aprirà la vita di Francesco ad un’esperienza impensabile. Esperienza di dolore e di morte in un paese sconvolto dalla guerriglia che uccide e depreda migliaia e migliaia di vite umane, di cui molti sono bambini. Ma di questo il mondo non parla, né si preoccupa.

Storia tragica nella quale brilla una grande luce, quella Lucille e Piero Corti, lei canadese lui della Brianza, che un giorno, chiamati dal vescovo di Gulu, comboniano, a prestare soccorso ad un popolo martoriato e abbandonato, lasciarono dietro di loro affetti e agi per portarsi in quel paese sconosciuto solo per salvare la vita ad una popolazione priva di ogni risorsa medica.

 I due giovani medici non solo accolsero quell’invito ma sentiranno che in quel preciso posto del mondo la loro vita trovava compiutezza e senso. E da quel momento non hanno lasciato più quella terra trasformando con l’aiuto di amici generosi di tutto il mondo, il piccolo ambulatorio di solo 50 posti che lì avevano trovato, in un grande ospedale il Saint Mary’s Lacor Hospital, oggi uno dei più qualificati di quella intera regione.

Per Francesco, che arriva al Lacor in piena guerriglia, ed è costretto a vivere insieme all’amico comboniano Elio Croce drammatiche esperienze di ferocia e di sangue, dopo la dittatura e la successiva guerra civile, è toccare con mano una delle più grandi solitudini dell’umanità: la solitudine di questi popoli africani costretti a vivere i loro drammi nell’indifferenza quasi totale da parte dei popoli occidentali e delle nazioni ricche.

Nello stesso tempo dinanzi alla testimonianza di Elio, dei medici e di quanti si adoperano per quel popolo comprende a quali altezze può giungere l’amore del cuore umano.

Vedere ogni notte migliaia e migliaia di bambini scappare dai loro villaggi e dormire nel grande cortile a cielo aperto del Lacor Hospital, solo per sfuggire alla violenza notturna o al rapimento da parte dei guerriglieri e qualcosa che fuoriesce dalla sue categorie mentali, è l’assurdo che diventa realtà, è l’urto violento tra ragione e storia. Egli non potrà mai più cancellare dai suoi occhi queste masse di innocenti cacciati dalla violenza cieca dei guerriglieri dalle loro capanne, dai loro affetti, privati dei loro genitori e che cercano ancora speranza e vita nel desiderio di salvarsi. Il Lacor per tutti gli anni della guerriglia aprirà a queste onde di bambini ogni notte i propri cancelli per offrire sicurezza e sonno, e saranno ogni notte oltre diecimila.

Anche Francesco comprende che questa realtà gli appartiene ormai per sempre e sente di dedicare il resto della sua vita vivendo e lavorando perché questo popolo che ha conosciuto e amato possa anche per il proprio contributo ritrovare la dignità perduta.

E oggi che i coniugi Corti riposano in quella terra ai piedi di due grandi alberi, nel giardino del Lacor Hospital, egli ha sentito di far propria l’eredità spirituale dei coniugi partecipando insieme a Dominique, figlia di Lucielle e Piero, e agli amici che in Uganda in tutto il mondo si stanno adoperando per sostenere il progetto.

Ha compreso che darà tutto sé stesso perché il Lacor cresca sempre più e salvi migliaia di vite umane, adoperandosi perché la scuola di specializzazione dia vita ad una schiera di giovani e valenti medici africani pronti a mettersi a servizio del loro popolo.

La lotta all’Aids e all’epidemia Ebola, la ricerca di risorse diventano gli obiettivi fissi di Francesco ora che la guerra è finita, per realizzare il motto dei coniugi Corti sempre attuale: “Le migliori cure al minor costo”, nella consapevolezza che il destino dell’Occidente non può prescindere dal destino dell’Africa,

Come scrive Mariapia Bonanate che ha voluto recarsi personalmente in Uganda e conoscere da vicino i protagonisti di questa straordinaria esperienza: «Il futuro dell’Europa e del mondo passa dall’africa. Culla dell’uomo dalle sue origini, lacerata da secolari martiri, è lo scenario di una lotta fra il bene e il male il cui esito avrà una ricaduta non soltanto sul Sud, ma anche sul Nord del mondo. Da un lato le tante guerre che la crocifiggono, dall’altro la straordinaria ricchezza umana della sua gente, le eccezionali potenzialità e capacità di sogno delle nuove generazioni. E in particolare delle sue meravigliose donne. Un continente diventato con la sua crescita umana, il suo sviluppo economico e la ricchezza culturale, un volano per la vecchia Europa. L’Africa è il nostro domani».

Si sente dal fluire del racconto che la Bonanate è penetrata con tutto il suo essere nell’esperienza di Francesco; non si è limitata a prestare la sua penna all’amico ma, con interiore intelligenza d’amore, ha voluto condividere fino in fondo quell’esperienza per donarla poi a tutti noi.

In ogni pagina, infatti, senti pulsare la vita che genera e risuscita ciò che era morto, assisti meravigliato alla profonda trasformazione interiore di ogni essere umano a contatto col dolore, trovi una ragione nuova per vivere nel dono totale di te stesso verso l’umanità che ti circonda.

Una drammatica storia epica, ma anche una sinfonia letteraria di grande pathos dove aleggia come nume tutelare la voce di una grande donna del novecento Etty Hillesum, morta in un campo di concentramento nazista, il cui pensiero è da tempo molto caro sia alla Bonanate che a Francesco Bevilacqua: «La vita è così originale, così sorprendente, così inesauribilmente sfumata. A ogni curva del cammino, all’improvviso, si apre una vista del tutto diversa. Su questa vita, la maggioranza della gente ha in testa idee formate sui dei cliché, ma nell’intimo ci si deve liberare di tutto, di ogni comprensione preesistente, di ogni slogan, di ogni legame, si deve avere la forza di lasciare andare tutto, ogni norma e ogni punto di appoggio convenzionale. Si deve osare il rischio del grande balzo nel cosmo e allora, allora la vita è così infinitamente ricca e traboccante, persino nelle sue sofferenze più profonde».

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