I bambini dei nomadi
È stato un attimo. Una di quelle brezze mattutine che risvegliano e che sorprendono. Nel caos dei programmi di inizio stagione, tra nuovi tronisti e feste italiane, un angolo di poesia ce lo ha regalato Raitre, con una preziosa perla della sua programmazione pomeridiana. Children of nomads, per la nostra stampa tradotto ne I bambini dei nomadi, è stata una vera novità: un brevissimo documentario di pochi minuti, in onda per alcuni giorni a metà pomeriggio, che ha raccontato la vita dei bambini del mondo, attraverso le immagini del loro vissuto quotidiano, focalizzato su un gioco, su una sorpresa, su un lavoretto, su una piccola grande scelta.
Il programma è frutto del lavoro della regista Laura Di Nitto, già in forza a Raitre per la programmazione della tivù dei ragazzi, che ha avuto il coraggio di rischiare, insieme alla struttura che la sostiene, per offrire al pubblico qualcosa di nuovo e per niente scontato. Gli ascolti ottimi hanno dato ragione a un lavoro durato due anni: una serie semplice e divertente, «che allarga lo sguardo e il cuore sui bambini dagli occhi di sole che vivono oltreconfine» – come ci racconta la stessa Di Nitto – nelle remote campagne del Rajasthan, ma anche nel resto dell’India, e altrove. Sono immagini semplici, che non hanno effetti speciali da proporre, ma che possiedono una ricchezza intrinseca che risiede nella scelta dei soggetti e del rapporto costruito con i bambini.
Un racconto a tratti senza parole, capace però di far rimanere senza fiato per l’immediatezza del messaggio proposto al telespettatore; una profonda riflessione sulle tante dimensioni della vita in un mondo “altro” che troppo spesso, complice anche la nostra televisione, rimangono nascoste e sconosciute ai più. È, ad esempio, la dimensione del gioco, grazie alla quale si possono intessere amicizie senza pregiudizi di colore o razza, dimostrando un’accoglienza senza pari del diverso. Ma è anche la dimensione del rapporto, dell’affetto, con lo stupore suscitato dalle sorprese che piacciono tanto ai piccini, quasi più a farle che a riceverle.
Ed infine a colpire è l’onestà intellettuale di cui i bambini sono maestri per ciascuno, con il loro essere spiazzanti e tipicamente politically incorrect. E così, in pochi secondi, ci si ricorda di quanto lo siamo stati tutti dei bambini, e quanto è bello continuare ad esserlo anche da grandi.
Perché diventare adulti è quasi un obbligo che la vita ti pone innanzi, con le sue gioie e le sue asprezze. Guardando queste immagini, capiamo che rimanere bambini è invece una scelta, un percorso straordinario e non sempre compreso, che ha il merito di lasciarti, a fine giornata, quel sapore in bocca che sa di felicità.