Hulk
Il verde e muscoloso Hulk, noto dai fumetti o dalla serie televisiva di 20 anni fa, è arrivato sugli schermi alla grande. Ha diretto il film Ang Lee, autore anche del riuscito La tigre e il dragone, nel quale presentava i fantastici voli dei suoi personaggi come una danza elegante, di cui ritroviamo traccia negli incredibili salti di Hulk. Ma egli ha aggiunto al personaggio una dimensione psicologica, che lo rende più umano, meno primitivo e, in un certo senso, meno “incredibile”. Così gli spettatori e i critici americani si sono alquanto divisi fra loro, perché alcuni avrebbero preferito un approccio più immediato e istintivo. L’ambientazione ci introduce in un mondo in cui sono assai vivi i problemi etici della genetica e in cui certi scienziati “vogliono andare oltre i limiti stabiliti da Dio”. Centrale è la figura sinistra del padre (un Nick Nolte autentico, eccentrico e preoccupante), non solo per il complesso suscitato nel figlio con il suo comportamento violento in famiglia, ma anche per la follia della sua ricerca. Il personaggio del giovane, che diventa Hulk, ricorda quanti potrebbero nascere come frutto di questi esperimenti, ereditando tare dolorose. Dopo un’introduzione prolungata, il ritmo del racconto diventa più veloce, fino a pervenire ad una dimensione iperbolica, in cui si scontrano non più semplici uomini, ma demoni scatenati. Sono lo smisurato orgoglio degli scienziati, l’arroganza dei militari che vogliono impadronirsi del segreto per produrre in serie soldati invincibili, lo sdegno dell’innocente Hulk, che però finisce per compiacersi della propria forza. L’immane lotta presenta un finale di non facile comprensione, con il padre che implode in una concentrazione egoistica di energia, come un buco nero, e Hulk che sopravvive, destinato a soccorrere quanti subiscono soprusi. Un film-fumetto, ma per nulla ingenuo, e con una certa ambiguità di pensiero.