Hong Kong per la continuità
Domenica 4 settembre assisteremo alla sesta elezione ad Hong Kong, dopo che il Regno Unito ha restituito questa città, insieme a Kowloon e ai Nuovi Territori, alla Cina. Sono stati più di 150 gli anni di colonialismo, seppur di successo sotto il famoso laisser-faire, durante i quali Hong Kong si è sviluppato sfruttando anche il commercio delle merci di basso costo della Cina.
Ci sono voluti 18 anni di lavoro, pazienza e determinazione per elaborare insieme, Londra e Pechino, la transizione pacifica: una pagina luminosa di diplomazia che ha portato al ritorno di Hong Kong alla Cina nel 1997. Naturalmente non tutto era semplice e infatti sono state scelte forme politiche molto particolari per Hong Kong. Per esempio tra i 70 posti nel parlamento, 35 vengono da normali elezioni su base geografica, mentre 35 sono frutto di selezioni secondo le professioni (o circoscrizione funzionale). Tutto questo è garantito dalla mini-costituzione elaborata dai due governi prima del 1997, per assicurare l’autonomia di Hong Kong per 50 anni dopo il ritorno alla Cina, con il famoso “un paese due sistemi”.
In questi 19 anni dopo la partenza dell’Inghilterra, Hong Kong si è consolidata: ci sono state elezioni ogni 4 anni per il consiglio legislativo ed è cresciuto il numero dei partiti, ben 18 attualmente, che rappresentano varie esigenze, tranne il movimento indipendentista. Gli analisti classificano i partiti come “pro-Pechino”, “democratici”, “locali” e “via in Mezzo”
Da due mesi è iniziata la campagna elettorale. Ci sono state anche proteste di piazza e incidenti. Ma il governo attuale ha assicurato che 2500 poliziotti sono pronti ad evitare qualsiasi forma di ingerenza esterna e possibile violenza. Hong Kong ci tiene alla sua buona tradizione di territorio dove legge e libera espressione di opinione sono garantiti.
È interessante osservare il ruolo che sta giocando la Chiesa Cattolica con il cardinale Tong, il quale un anno fa, in un momento di intolleranza, ha fatto un importante appello per la riconciliazione. Questo succede perché ad Hong Kong la democrazia è ancora una esperienza nuova, dopo 150 anni di amministrazione coloniale inglese.
La Chiesa cattolica qui è molto ascoltata, anche perché ha fatto tanto per Hong Kong. Per esempio un terzo delle scuole sono cattoliche ed il servizio di assistenza sociale è in gran parte sostenuto dai cattolici insieme con altre chiese e agenzie cristiane.
Come ci ha detto il cardinale Tong, «la linea delle scuole cattoliche è molto chiara e questo aiuta. Nella proposta educativa diciamo chiaramente che Hong Kong fa parte della Cina. Ma affermiamo anche che l’educazione deve promuovere lo sviluppo completo della persona e quindi aiutare la crescita delle capacità intellettuali, morali e spirituali, per un pensiero indipendente». In un momento di grande discussione su valori e orientamenti sociali, la Chiesa ha dato il suo contributo per formare cittadini di una società tollerante e aperta a tutti.
Nell’ultima elezione del 2012 i Democratici hanno ottenuto 27 seggi nel parlamento mentre i partiti Pro- Pechino 43. Queste cifre indicano che i partiti Pro-Pechino hanno vinto. Ma la verità è che negli anni hanno dovuto imparare l’arte del compromesso, anche se non è sempre facile. È un processo, un cammino necessario per arrivare ad una società matura.
La politica di “un paese due sistemi” per Hong Kong vuole garantire l’autonomia di Hong Kong per 50 anni e ne sono passati già 19. Nella mini-costituzione di Basic Law possiamo trovare, nelle clausole 45 e 68, l’obbiettivo finale: l’Amministratore Delegato e i Membri del Consiglio Legislativo di Hong Kong devono essere eletti con suffragio universale. Pechino vuole vedere Hong Kong arrivare a questa meta con gradualità, anche perché potrebbe essere una prova generale per la grande Cina.
Ma Hong Kong è impaziente: cosa succederà alla fine dei 50 anni? Chi ha disegnato la politica “un paese due sistemi” ha confessato in privato di sperare che la politica della “porta aperta” porti la Cina a diventare un’altra Hong Kong.