Hong Kong fra condanne e ricerca di armonia

Ad Hong Kong in questi giorni si sono verificati due avvenimenti che appaiono per certi versi contradditori: la condanna ufficiale di alcuni dei protagonisti delle manifestazioni antigovernative del 2019 e una conferenza fra rappresentanti del taoismo e del cristianesimo sul tema dell’armonia come valore supremo.    
Hong Kong Exploringlife - Opera propria, commons.wikimedia.org

Nella complessa situazione che, da alcuni anni, vive la metropoli di Hong Kong, in questi giorni si sono verificati due avvenimenti, per certi versi contradditori, che, tuttavia, mostrano la necessità del contributo di culture e religioni all’armonia socio-politica, fortemente desiderata e necessaria in questo fazzoletto di terra. È infatti, bene sottolineare come – aspetto complesso da capire per la sensibilità occidentale – nelle culture e religioni orientali, sia del ceppo indiano del sanatana dharma che di quello cinese confuciano-taoista, non è possibile scindere in alcun modo la dimensione culturale da quella religiosa. Tale fenomeno ha, dunque, una’influenza diretta anche sulla vita socio-politica delle società interessate.

Proprio in questi giorni, a Hong Kong è avvenuta la condanna ufficiale di alcuni dei protagonisti delle manifestazioni di massa – soprattutto ma non solo degli studenti liceali e universitari – che nel 2019 paralizzarono la metropoli, acuendo le tensioni fra il liberalismo tradizionale di questa città, per certi versi unica in Oriente, e il governo di Pechino.

In linea con la politica di Xi Jin Ping, anche grazie al periodo della pandemia, il governo centrale ha messo in atto un progressivo processo di sinicizzazione di Hong Kong. Bene inteso che la città era e rimane assolutamente cinese, ma il secolo vissuto sotto la colonizzazione (abilmente sfruttata sia dall’Inghilterra che dalla Cina per non parlare degli interessi della finanza e del commercio mondiale) aveva contribuito ad una decisa occidentalizzazione della metropoli in tutti i suoi aspetti politici, sociali, culturali.

Hong Kong era un polmone del mondo dove si respirava liberamente e dove tutti erano interessati a fare affari e a mantenere, quindi, lo staus quo della città. Il porto e il fazzoletto di terra alle propaggini dell’Impero di mezzo sono rimasti per decenni un ponte di dialogo e di accordi che soddisfacevano entrambi i fronti. Negli ultimi anni, la Cina di Xi Jin Ping ha messo in chiaro che quel fazzoletto di terra, pur mantenendo uno statuto speciale, non è più una parte isolata, ma un tassello integrante della grande Cina. Da qui, una progressiva ‘pechinizzazione’ – se si può usare questo termine – per assicurare una decisa influenza e normalizzazione in linea con la politica di Pechino.

Negli ultimi giorni, a conferma di questo elemento ormai più che assodato, sono state inflitte condanne esemplari a dodici attivisti del movimento pro-democrazia, che il 1° luglio 2019 entrarono con centinaia di manifestanti nella sede dell’Assemblea Legislativa di Hong Kong. Fra loro anche personaggi pubblici di primo piano, come l’attore Gregory Wong, oltre a Ventus Lau e Owen Chow, altri due noti attivisti dei movimenti pro-democrazia.

Si trattò di uno dei gesti più clamorosi di quella ondata di proteste che non poteva in alcun modo lasciare indifferente il governo di Pechino. La sentenza, molto dura, che prevede la condanna a sette anni degli imputati riconosciuti colpevoli di reato di “sommossa”, è arrivata anche nel momento in cui il Parlamento di Hong Kong sta discutendo a tempo di record l’articolo 23 della Legge fondamentale, la versione locale della Legge sulla sicurezza nazionale.

La legge è assai controversa in quanto, per i sostenitori della democrazia, è ritenuta una mossa che inasprirà ulteriormente la repressione nei confronti delle voci pro-democrazia nell’ex colonia britannica. Al contrario, per il governo di Pechino e i suoi sostenitori, appare un passo decisivo e ineludibile verso la normalizzazione della ex-colonia, per un suo inserimento a tutti gli effetti nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese.

A fronte di questo, e forse abbastanza casualmente ma con un significato non trascurabile, negli stessi giorni si è tenuta a Hong Kong una conferenza fra rappresentanti del taoismo e del cristianesimo, promossa dal Dicastero per il Dialogo interreligioso della Santa Sede, congiuntamente alla diocesi cattolica di Hong Kong, e dall’Associazione taoista cinese. Il tema era assai significativo e metteva in rilievo la sensibilità taoista, e in generale cinese, che come tutte le culture orientali mira all’armonia come valore supremo da perseguire.

“Coltivare una società armoniosa attraverso il dialogo interreligioso” questo il titolo dell’incontro che ha visto cristiani e taoisti riflettere e discutere per tre giorni sull’argomento in un momento di forti polarizzazioni sociali e politiche. Il cardinale Stephen Chow, vescovo di Hong Kong, e monsignor Indunil Janakaratne Kodithuwakku Kankanamalage, segretario del Dicastero per il Dialogo interreligioso, hanno sottolineato ai media locali e a quelli vaticani come il desiderio della conferenza sia quello di «dimostrare come le religioni possano unirsi per diventare partner costruttivi per l’edificazione della nostra società».

Mons. Chow ha sottolineato come «la visione della religione taoista sia quella di promuovere un movimento del mondo verso la pace e l’unità, in cui l’umanità e la Via – diremmo il Logos – siano connessi». La speranza è che il riconoscimento di questo spirito di servizio condiviso aiuti «il valore e il significato della religione [ad essere] meglio apprezzato in Cina». Il vescovo gesuita, recentemente creato cardinale, ha insistito sul fatto che cristianesimo e taoismo «condividono i valori della misericordia, della semplicità e della non ricerca di risultati mondani».

Come modello di questo dialogo ed impegno all’armonia è stato ovviamente invocato padre Matteo Ricci, il missionario gesuita del XVI secolo famoso per la sua conoscenza della lingua e della cultura cinese: Ricci è stato «il modello di dialogo tra religione e cultura, integrando le spiritualità dei confuciani, dei buddisti e dei taoisti con la nostra fede e spiritualità cattolica». «Questo – evidenzia mons. Chow – ha ottenuto molte lodi e rispetto da parte del popolo e del governo cinese».

Alla conclusione, i partecipanti hanno firmato un documento in cui si evidenziano tre aspetti fondamentali: la dimensione dell’incontro, il risvegliare i rispettivi patrimoni religiosi per contribuire ad una società armoniosa e il cooperare attraverso attività caritatevoli ed educative per costruire ponti, abbattere muri e seminare semi d’amore, rispetto e speranza. Un contributo a trovare nuove vie di armonia socio-politica anche nella complessa società di Hong Kong.

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