Homo Naledi è nostro antenato?
Fino a qualche decennio fa, il dibattito (e le polemiche) su come sia possibile che da una scimmia derivi, più o meno improvvisamente, l’antenato dell’uomo sapiens di oggi, si basavano sulla faticosa ricostruzione di una sequenza lineare. In questa sequenza, che copre milioni di anni, si andavano ponendo man mano i pochi resti fossili ritrovati in varie parti del mondo, cercando di metterli in un ordine temporale che andava dai resti più “animaleschi” a quelli che apparivano più simili a noi.
L’identificazione dei reperti riguardava sempre vari aspetti: la conformazione fisica di crani e ossa − per capire quanto era grande il cervello, se le mani erano adatte a salire sugli alberi o no, se il modo di camminare era a due o quattro zampe, se il cibo era prevalentemente vegetale o anche carne −, e le tracce di psichismo (più difficili da definire con sicurezza), cioè la capacità di costruire artefatti intenzionali (per caccia o motivazioni artistiche), di vivere in comunità e di seppellire i morti.
Le polemiche sulla sequenza lineare riguardavano naturalmente i “buchi”, i cosiddetti anelli mancanti nella ricostruzione, cioè gli esseri intermedi con caratteristiche in parte umane, in parte scimmiesche, necessari per giustificare un passaggio evolutivo graduale verso di noi.
Negli ultimi decenni tutto è cambiato in modo assolutamente imprevedibile. La sequenza lineare è ormai superata, mentre oggi la scienza parla piuttosto di cespuglio evolutivo, con diverse specie di ominidi che si sono generate e alternate nel tempo, con molte diramazioni parallele ed estinzioni, finché solo la nostra specie (homo sapiens), apparsa 200 mila anni fa, è rimasta a popolare la Terra. Questa in sintesi la situazione.
Il problema dei ritrovamenti degli ultimi anni è che sono troppi! Sembra che circa due o tre milioni di anni fa in Africa ci sia stata una specie di esplosione creativa di ominidi di vario tipo, caratterizzati ognuno da aspetti fisici diversi (più o meno simili a noi), e dai primi tentativi di uso “intelligente” di pietre e ciottoli. Per esempio l’ominide appena scoperto in Sudafrica aveva mani (pollice e indice opponibili), testa (la forma del cranio) e piedi simili ai nostri, ma era anche capace di arrampicarsi sugli alberi.
La bellezza del giacimento vicino Johannesburg è che non si tratta di poche ossa, come succede di solito, ma di 1500 fossili in buona conservazione, grazie ai quali si può cercare di ricostruire non solo l’aspetto, ma anche lo stile di vita di questo piccolo bipede africano, candidato ad essere uno dei nostri numerosissimi antenati. Volendo fare una battuta, è come se vedessimo, in tutte le specie che si sono succedute in milioni di anni, una serie di tentativi, anche falliti, un’aspirazione generale a migliorarsi, a perfezionarsi, per arrivare finalmente ad essere homo sapiens.
Per quanto riguarda Homo Naledi non riusciamo, per ora, a stabilire con esattezza se i resti di risalgano a uno o due milioni di anni fa, per cui tutto è ancora da prendere con precauzione. Ma l’entusiasmo tra i ricercatori è massimo. Hanno ormai una enorme varietà di reperti da classificare, da studiare, da districare, per capire meglio da dove veniamo e quindi chi siamo. Almeno per quanto può dirlo nel suo campo la scienza.