Hollywood premia l’amore
Amore e guerra, tra singole persone, gruppi sociali, nazioni. Un ritratto del mondo contemporaneo, e forse di sempre. Hollywood premia l’amore. Quattro statuette a La forma dell’acqua di Guillermo del Toro (miglior regia, miglior film, miglior scenografia e colonna sonora) vorranno pur dire qualcosa. E cioè che la favola fantasy della inserviente muta che s’innamora, ricambiata, di una strana creatura anfibia e dà la vita per lei, in un’aura senza-tempo da “guerra fredda”, significa che il cinema vola quando lascia spazio alla fantasia e al sentimento.
E questo deve essere autentico, per non scivolare nel mélo o nella commedia superficiale. Ma il film dice anche altre cose. Si può leggere pure come una metafora di questo nostro tempo di “guerra mondiale a pezzi” o di rinnovata “guerra fredda” fra le superpotenze, in cui ciò che resiste e vale alla fine è l’amore, che implica accoglienza del “diverso”, e perciò rischia di venire incompreso o perseguitato, come succede nel racconto. Una scenografia claustrofobica, acquatica, non poteva che essere quella giusta per una storia d’amore nell’acqua, elemento vitale.
Due Oscar – miglior attrice protagonista Frances McDormand e miglior attore non protagonista Sam Rockwell – a Tre Manifesti a Ebbing, Missouri. Un film di amore e morte, violento come sa essere la tenacia della madre che “perseguita” la polizia cercando l’assassino della figlia, tra indifferenza, astio, superficialità. Una Madre Coraggio determinata: la sua non è solo una lotta personale, ma significa pure la ribellione dei deboli, degli emarginati che non contano per il potere – come ne La Forma dell’acqua – per “ottenere giustizia”. Nel film di del Toro la si raggiungeva con il sacrificio di sé, in questo con un’altra morte, quella del poliziotto “misericordioso” che comprende, perdona, dando al film uno snodo “cristiano” inaspettato.
Come nelle previsioni, due Oscar ai film sull’ultimo conflitto mondiale, di amore alla patria, un tema oggi quanto mai in disuso, almeno da noi. Si parla di Dunkirk, bellissimo affresco in terra cielo e mare sulla guerra nel cuore dei soldati, non solo dei comandanti (miglior montaggio e sonoro), e L’ora più buia, biografia di Churchill negli anni caldi e tremendi della guerra: miglior attore protagonista (Gary Oldman), e miglior trucco.
Si va un po’ sulla scarsa sorpresa dell’Oscar a Blade Runner 2049, fotografia ed effetti speciali, quasi logici per un super reclamizzato film di fantascienza, dai risvolti conturbanti su un futuro sorprendente, ma anche inquietante per lo strapotere della tecnica sui rapporti umani.
Fra i tanti premi, è un peccato che Il filo nascosto abbia ottenuto solo l’Oscar per i costumi, segno di una visione ristretta al lato estetico, in un racconto di alta recitazione e di una storia d’amore dalle sottilissime sfumature psicologiche. Quanto all’Italia accontentiamoci che il film di Luca Guadagnino Chiamami col tuo nome abbia avuto la prevista statuetta per la miglior sceneggiatura non originale: c’è di mezzo uno come James Ivory. Del resto il giovane protagonista Timothée Chalamet ha già vinto come miglior attore agli Independent Spirit Awards. Che vogliamo di più?