Hollywood ending
Certamente Woody Allen è un comico: muovono all’ilarità l’aspetto, la mimica, il modo di affrontare i problemi. Ma la sua inclinazione letteraria più forte, come egli ha spiegato, sarebbe per la tragedia. E, di fatto, dentro di lui convive una drammaticità assai forte, come appare dal suo discorrere nevrotico e dal sentirsi sempre al centro di situazioni catastrofiche. È su questo fondo tragico che si innestano le sue doti comiche. E bisogna tener conto di ciò, per capire anche l’attuale film, per molti aspetti decisamente autobiografico. Allen è nei panni di un regista valido, ma fuori dal giro, a cui è offerta la possibilità di nuovo lavoro dalla moglie, che lo ha lasciato e sta per sposarsi con un produttore. Ma una cecità psico-somatica lo aggredisce, mettendolo in una situazione incredibile. È suo l’amore per New York, e sono sue anche la fatica di reperire i collaboratori, sempre al limite fra stranezza e genialità, e la scelta di girare opere originali, invece che puramente commerciali. Ma è suo, soprattutto, quell’intreccio non sereno di rapporti sentimentali, di cui è intessuta la propria vita familiare e che si ritrova puntualmente ad affrontare in ogni opera nuova. È credibile quell’impressione di non riuscire a vederci chiaro. Così Allen esprime le proprie contraddizioni con un umorismo abbastanzanero, ma in modo amabile ed umile, riuscendo a sollevare lo sguardo nella direzione della speranza. Le conclusioni felici dei suoi rapporti con la moglie e con il figlio sono frutto di quanto egli arriva a desiderare nel momento tranquillo della scrittura della sceneggiatura, quando è ancora lontano dallo “scontro con la realtà”. Un sorriso costante, e anche numerose risate, accompagnano lo spettatore, che andando al di là del dramma della situazione senza sbocco, apprezza la sensibilità del tormentato regista che ama sognare la ricostruzione degli affetti familiari. Regia di Woody Allen; con Woody Allen, George Hamilton, Tea Leoni, Debra Messing.